di Annalisa Brizzante

Il lavoro e il servizio per gli ammalati si compiono nella certezza che viene dalla fede

«Tutto quello che la tua mano trova da fare, fallo con tutte le tue forze; poiché nel soggiorno dei morti dove vai, non c’è più né lavoro, né pensiero, né scienza, né saggezza» (Ecc. 9,10).

Appartengo alla comunità valdese di Milano e sono infermiera. La scorsa settimana, in occasione della sospensione del culto in ottemperanza alle disposizioni per il contenimento della diffusione del Coronavirus, ho ascoltato questo versetto del libro dell’Ecclesiaste in un messaggio inviatoci dai nostri pastori. Da quel momento il pensiero di queste parole accompagna l’inizio delle mie giornate lavorative. Questa situazione di “emergenza” in cui si trova il nostro Paese, e non solo, sta modificando forzatamente il nostro stile di vita e il nostro lavoro quotidiano; in particolare questo momento sta impegnando i medici, gli infermieri e tutti gli operatori sanitari. Questo versetto mi torna in mente ogni volta in cui varco la soglia del mio reparto, e mi sostiene in tutti i momenti in cui mi sento sopraffatta dal lavoro, dalla stanchezza e dalla sofferenza che vedo nelle persone. Per noi infermieri questi sono giorni convulsi, ci viene richiesto di essere pronti a cambiamenti organizzativi molto rapidi e per tale ragione non sempre percepiti e vissuti come chiari e sicuri.

Dobbiamo essere disponibili a rinunciare ai normali tempi del riposo per garantire una continuità nell’assistenza e rinforzare i reparti laddove vi è più carenza di personale.

In questi giorni sta cambiando il ritmo del mio lavoro: spesso dobbiamo far fronte a situazioni improvvise in cui deve essere garantita l’applicazione rigorosa delle precauzioni e una flessibilità nella gestione delle normali attività. Questi giorni sono bui per tutti noi, proprio come “il soggiorno dei morti” di cui parla questo versetto. Mi sono chiesta che cosa possono significare queste parole della Scrittura per me, da infermiera e da credente. Le mie mani, cioè le mie opere, i miei sentimenti, i miei pensieri devono fare senza esitazione, senza risparmio, tutto ciò che mi si presenta davanti; devo essere in grado di agire senza timore, di curare, di rincuorare e di sostenere le persone che mi trovo ad assistere, proprio quando il clima in cui ci muoviamo vorrebbe invece paralizzarci e chiuderci al nostro interesse e alla nostra individuale sicurezza, nella consapevolezza che la grazia del Signore è sempre sovrabbondante rispetto alle nostre forze.

Questo versetto mi dice che il mio essere cristiana si determina e si testimonia qui e ora, in questo tempo di grande incertezza e di altrettanto grande bisogno. In questi giorni mi sono resa conto di quanto sia difficile il nostro compito verso il nostro prossimo: essere per le persone malate il conforto che, in questo particolare momento, non possono ricevere dai loro cari, e allo stesso tempo far accettare alle persone la necessità di dover rinunciare a qualcosa per il bene di tutta la collettività. I nostri gesti di cura richiedono una vicinanza anche fisica alle persone che incontriamo e la delicatezza del nostro lavoro è anche quella di trasmettere la sicurezza della nostra presenza. Dobbiamo anche noi, come tutte le altre persone, superare la paura di avvicinarci agli altri; noi infermieri dobbiamo far sentire che oltre alle cure e attenzioni “straordinarie”, le cure ordinarie devono continuare; infatti la nostra attenzione deve restare immutata anche nelle piccole azioni di cura. Queste parole inoltre mi sostengono con forza quando vedo negli occhi delle persone la paura, l’impotenza e il senso di solitudine che possono provare quando intorno tutto si muove e cambia rapidamente, in maniera incerta, e vi è il bisogno di trovare sicurezza negli occhi e nelle mani di un’altra persona. Ma questo versetto mi dà anche la forza di incoraggiare tutti i colleghi e le colleghe a non lasciarsi vincere dalla paura di essere esposti al contagio. Queste parole, infatti, ci invitano anche a impegnarci in prima persona, anche qui senza risparmiarci, affinché possiamo lavorare il più possibile in sicurezza e sostenerci l’un l’altro; informando ed esortando le persone a rispettare le indicazioni sanitarie, e vigilando affinché tutti gli operatori siano tutelati. Per noi cristiani solo la certezza della fede è ciò che ci permette di rimanere saldi, cioè di non vacillare, di non dubitare che ciò che facciamo per le persone è innanzitutto fatto in Dio ed è per Dio, come ci esorta l’apostolo Paolo nella I Lettera ai Corinzi (15,58): «Perciò, fratelli miei carissimi, state saldi, incrollabili, sempre abbondanti nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore». Possiamo pregare insieme, in questo difficile momento, con le parole del Salmista: «Saziaci al mattino con il tuo amore/ esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni/ Rendici la gioia per i giorni in cui ci hai afflitti/ per gli anni in cui abbiamo visto il male/ Si manifesti ai tuoi servi la tua opera/ e il tuo splendore ai loro figli/ Sia su di noi la dolcezza del Signore, nostro Dio/ rendi salda per noi l’opera delle nostre mani/ l’opera delle nostre mani rendi salda» (Sal. 90,14-17).

(da "Riforma"  - settimanale delle Chiese evangeliche, battiste, metodiste, valdesi - edizione del 20 marzo 2020)

(Mercoledì, 18 marzo 2020)

 

Pubblico la predicazione del pastore Paolo Ricca tenuta nel corso del culto del  pomeriggio del 22 febbraio 2020, celebrato per la prima volta della storia nell’Aula del Consiglio del Comune di Guardia Piemontese, nell'ambito delle manifestazioni per la "Festa della Libertà" della Chiesa Valdese.

Cari Fratelli e Sorelle, cari Amici e Amiche,

i cristiani dei primi secoli erano soliti, là dove potevano, celebrare il culto sulla tomba dei martiri. Perché? Non certo per rendere culto ai morti, ma per dire due cose: la prima era che anche grazie a quei martiri la fede cristiana era stata testimoniata come qualcosa che vale più della stessa vita; la seconda era che quei martiri non erano morti, ma viventi nel Signore vivente, ed era con loro, già viventi in Dio, che essi, ancora su questa terra, celebravano il loro culto.

È proprio nel ricordo di quei primi cristiani raccolti in preghiera sulle tombe dei martiri, che ho accettato volentieri, benché la mia salute in questo tempo non sia al meglio, l’invito di Beatrice[1] di venire a Guardia per celebrare con voi, sulla tomba dei martiri di Guardia, il culto del XVII Febbraio 2020[2]. Guardia infatti ci è doppiamente cara: lo è perché è stata riconosciuta a livello europeo come «Città della Riforma»[3], ma lo è più ancora perché è una città martire della fede riformata[4]. Non è l’unica, purtroppo; ce ne sono altre, sparse per l’Europa, oltre – s’intende – alle Valli Valdesi. Ne menziono una sola per tutte: la cittadina di Steyr, in Austria, dove alla fine del ‘300, circa cento Valdesi, uomini e donne, furono mandati al rogo dall’implacabile inquisitore Pietro Zwicker. Noi oggi siamo qui raccolti davanti a Dio, e, come i cristiani antichi, celebriamo il culto con i martiri di Guardia, che non sono defunti, ma sono vivi nel ricordo e nella presenza di Dio. C’è un detto rabbinico che mi piace ricordare e che dice: «Quando si pronuncia il nome di un defunto, questi, là dove si trova, muove le labbra»  –  come per rispondere. Se ne avessimo il tempo, vorrei menzionare ad uno ad uno i loro nomi  –  quelli che sono  noti  –  perché i nomi del più gran numero sono noti solo a Dio.

Ma perché questi martiri di Guardia? Perché tutto quel sangue versato? Perché tutti quei morti? Perché quegli uomini e quelle donne avevano visto una luce che non avevano mai visto prima, una luce così bella, così luminosa e splendente che hanno preferito rinunciare alla vita piuttosto che rinunciare a quella luce, una luce che non si spegneva neppure con la loro morte, anzi splendeva più che mai e illuminava anche la loro morte. Lux lucet in tenebris, «la luce splende nelle tenebre»: nelle tenebre fitte dell’odio, dell’ignoranza, della violenza che producono morte, splende la luce di Dio che

Gesù ha acceso e splende nel nostro mondo fino alla fine dei tempi. A Guardia splende un po’ di più, a motivo dei suoi martiri. Dove c’è un martire, la luce splende di più.

Lux lucet in tenebris, «La luce splende nelle tenebre», è la parola che la Chiesa Valdese ha voluto scrivere sul suo stemma, ma è prima di tutto un versetto dell’evangelo di Giovanni che si presta bene come testo di predicazione in un culto del XVII Febbraio, proprio perché parla di quella luce che i martiri hanno visto e alla quale non han voluto rinunciare, la luce che vuole illuminare anche noi in maniera che neppure noi vorremo mai rinunciarvi.

Avviciniamoci dunque a questo versetto, ed esaminiamolo un po’ più da vicino soffermandoci qualche istante su ciascuna parola. Il versetto completo dice: «La luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno ricevuta» (Giovanni 1,5). Che cosa dice questo versetto? Dice tre cose: la prima è che la luce c’è: non ci sono solo tenebre nel nostro mondo! La seconda è che questa luce splende, cioè è piena di forza e di vita. La terza è che splende nelle tenebre, non fuori dalle tenebre, ma dentro.

  1. In primo luogo, dunque, la luce c’è. Non solo c’è, ma c’è dall’inizio. Non solo dall’inizio del nostro versetto, ma dall’inizio del mondo, la prima parola in assoluto che Dio abbia pronunciato, inaugurando così la storia dell’universo. All’inizio di tutto, quando non c’era ancora nulla tranne Dio,la parola originaria che precede e fonda tutte le altre e tutto ciò che esiste, è stata: «Sia la luce» (Genesi 1,3) «e la luce fu». La luce è la prima creatura di Dio, la sua primogenita. Senza la luce, anche se c’è tutto, è come se non ci fosse nulla. Chiudete gli occhi, e il mondo improvvisamente si svuota, non c’è più nulla intorno a voi. Il buio ha questo potere impressionante, di annullare in un certo senso la realtà, che la luce, invece, rivela. La luce ha questo potere immenso, di far vivere tutto. Solo con la luce il mondo esiste realmente. Non per nulla si dice di un bambino che è nato, che è «venuto alla luce», ha cominciato a esistere. La luce è condizione di vita: una pianta senza luce, muore. Senza luce, la vita diventa impossibile. Comprendiamo allora perché la Bibbia dice che «Dio è luce» (I Giovanni 1,5).

Ora la luce ha due caratteristiche stupefacenti. [a] la prima è che la luce non si vede, ma fa vedere, La luce non si vede: sembra strano, ma è così. Vediamo il sole e i suoi raggi, ma la luce che da loro promana non la vediamo. Vediamo il filo incandescente della lampadine, ma la luce che da quel filo si diffonde non la vediamo. Però vediamo solo grazie alla luce che non vediamo! Estremo paradosso! La luce è l’invisibile che fa vedere. Proprio così è Dio: è invisibile, nessuno l’ha mai visto, ma ci fa vedere: e ci fa vedere non solo quello che vedono gli occhi, ma anche quello che gli occhi non vedono; ci fa vedere l’invisibile (II Corinzi 4,18!). «Per la tua luce, noi vediamo la luce» (Salmo 36,10). [b] La seconda caratteristica è che la luce non fa rumore. Tutto ciò che vive fa qualche rumore: l’acqua fa rumore, il vento, il fuoco fanno qualche rumore, persino una pietra, se lo percuotete, emette qualche suono, ma la luce no, non fa nessun rumore, è completamente e misteriosamente silenziosa. Così è Dio: anche lui è completamente silenzioso. Ricordate il passo stupendo dell’Antico Testamento nel quale Dio si manifesta al profeta Elia: soffiò un vento impetuoso che quasi spezzava le rocce, ma Dio non era nel vento: poi venne un terremoto, ma Dio non era nel terremoto: poi ci fu un incendio, ma Dio non era nel fuoco; poi venne il suono sommesso di un impercettibile silenzio, e Dio era nel silenzio (I Re 19, 11-12). Dio non fa rumore: non strilla, non urla, come spesso i nostri politici nei talk-show televisivi: entra silenzioso nella tua anima, e la illumina.

Questa luce divina che non si vede, ma fa vedere, che non fa rumore, ma fa, appunto, luce, secondo la nostra fede, non è solo una cosa piena di fascino e di mistero, ma è una persona, quella di Gesù di Nazareth. «Il popolo che camminava nelle tenebre vede una gran luce, su quelli che abitavano il paese dell’ombra della morte, la luce risplende (Isaia 9,1). Qual è la luce di Gesù ? È la sua vita, il suo insegnamento, il suo annuncio del Regno di Dio vicino. Le parabole del Regno sono una luce, ogni parabola lo è. Pensate alla parabola del figliuol prodigo: quale luce eterna emana da quella parabola! Le guarigioni di Gesù sono una luce: ogni guarigione lo è. La moltiplicazione dei pani e dei pesci è una luce. Le Beatitudini sono una grande luce, l’amore per i nemici è la luce più luminosa di tutta la Bibbia, anzi di tutta la storia umana.

Anche nelle situazioni più critiche Gesù è stato luce: come quando morì ancora giovane il suo amico Lazzaro e davanti alla tomba Gesù pianse, poi fremette nello spirito e ordinò: «Lazzaro, vieni fuori!», e Lazzaro uscì (Giovanni 11, 35-44).

Che felice intuizione hanno avuto i nostri padri e le nostre madri a porre questo versetto nello stemma della nostra Chiesa! Che bel  XVII Febbraio può celebrare una Comunità che si riconosca nel suo stemma e sia lei per prima avvolta non nelle tenebre, ma nella luce che splende nelle tenebre). Che luce stupenda splendette in quel momento! O quando gli portarono una donna colta in flagrante adulterio perché la giudicasse, e il giudizio, secondo la legge di Mosè, poteva essere sola una condanna a morte per lapidazione, e invece Gesù decise il contrario: disse all’adultera: «Donna, dove sono i tuoi accusatori ? Nessuno ti condanna ?» «Nessuno, Signore», rispose la donna (difatti si erano tutti ritirati, coperti di vergogna!). E Gesù le disse: «Neppure io ti condanno!» (Giovanni 8, 1-11). Che luce stupenda splendette in quel momento non solo sulla donna, ma su di noi che, come lei, abbiamo tanto bisogno di essere perdonati!

Dove c’è Gesù, c’è luce. C’era luce persino sulla croce, quando pregò per i suoi carnefici dicendo: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Luca 23,34). O quando disse al ladrone pentito: «Oggi sarai con me in paradiso» (Luca 23,43). Che grande luce apparve in quel momento nelle tenebre della croce! Dove c’è Gesù, c’è luce. Anche quando è entrato nella nostra vita ha portato luce: «Io sono la luce del mondo» vuol dire anzitutto: «Io sono la vostra luce: chi di voi mi segue, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Giovanni 8.12).

  1. Questa luce che c’è dove c’è Gesù –  dice ancora l’evangelista Giovanni  –  non solo c’è, ma  splende! Che cosa ci dice questo bellissimo verbo. Ci dice due cose. [a] La prima è che per splendere, dev’essere una luce forte, vigorosa, piena di vita, che dà molta luce. Non dunque un lucignolo fumante, una piccola luce tremolante che vacilla e può spegnersi a ogni soffio di vento. No, nessun vento la può spegnere. Ti puoi fidare di questa luce, non ti lascerà mai al buio. [b] La seconda cosa è questo verbo all’indicativo presente: splende, davvero splendido (è il caso di dirlo!), tanto più che tutti i verbi precedenti sono al passato: «Nel principio era la Parola, e la Parola era con Dio, e la Parola era Dio. Essa era nel principio con Dio. Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei e senza di lei nessuna delle cose fatte  è stata fatta.. In lei era la vita, e la vita era la luce degli uomini» (Giovanni 1, 1-4). Otto verbi al passato, uno dopo l’altro! Poteva anche andare avanti  col passato, e dire che la luce risplendeva o risplendette nelle tenebre, quando c’era Gesù. Anche così sarebbe andato benissimo, tanto più che poi i verbi al passato riprendono subito dopo: «le tenebre non l’hanno ricevuta». E poi: «Vi fu un uomo mandato da Dio», e così via fino in fondo al Prologo, tutto di nuovo al passato, tranne quel presente davvero miracoloso. Oppure Giovanni avrebbe anche potuto parlare della luce al futuro e dire: «La luce splenderà» quando Gesù ritornerà e verrà il Regno di Dio e l’ultimo nemico sarà distrutto, «e le tenebre fuggiranno per sempre»: sarebbe andato benissimo anche così. Ma Giovanni non dice né «splendeva» al passato, né  «splenderà» al futuro, dice «splende» al presente. Parlando della luce di Gesù, poteva e voleva solo parlarne al presente, ed ecco allora questo bellissimo «splende»! Splende oggi come allora, anzi più di allora, perché non è solo la luce del Gesù storico, è anche quella di Gesù risorto, doppia luce quindi quella che splende oggi; splende davanti a noi e sopra di noi, nel nostro mondo e per il nostro mondo, splende ogni giorno, splende per sempre.

Notate ancora una cosa: la luce che splende è descritta con un verbo al presente, mentre il rifiuto della luce da parte delle tenebre è descritto con un verbo al passato: «le tenebre non l’hanno ricevuta». Come per dire: non l’hanno ricevuta allora, tanto che Gesù è stato crocifisso; ma questo rifiuto appartiene al passato; è accaduto allora, non deve necessariamente accadere ancora; oggi una nuova storia è possibile: oggi quella luce ancora più grande può non essere più rifiutata, può al contrario essere accolta. Sì, diciamolo forte: può essere accolta!

  1. Infine, la luce splende oggi nelle tenebre. Le tenebre ci sono, eccome! Non ci sono solo loro, c’è anche la luce, ma non c’è solo la luce, ci sono anche le tenebre. C’era allora, ci sono anche oggi. Sono tenebre fitte. Allora Gesù non è stato amato, non è stato benvoluto, non è stato neppure capito. È venuto nel mondo, ma il mondo non l’ha conosciuto. È venuto in casa sua, ma i suoi non l’hanno ricevuto (Giovanni 1, 10-11). Anche oggi è così: Gesù non è benvenuto, ci disturba un po’ troppo il suo invito a convertirci. Questo è il grande mistero del cuore umano, che aspira al bene, ma fa il male che non vuole piuttosto che il bene che vuole. Così anche oggi, Gesù è rifiutato da molti. Ma per quanto diffuso possa essere questo rifiuto della luce, essa splende ancora. Le tenebre non l’hanno accolta, ma non l’hanno vinta. Essa splende nelle tenebre. Non accanto, non sopra, non sotto, ma dentro, nel cuore delle tenebre, proprio là dove sono più fitte, splende la luce di Gesù. Se splendesse solo in cielo, noi che siamo sulla terra non potremmo vederla. Se splendesse solo lontano dalle tenebre, noi che siamo dentro le tenebre, non potremmo vederla. Ma splende dentro le tenebre, nel buio del mondo e nel buio dell’anima. Nel buio della sofferenza, Gesù è luce con la sua compassione. Nel buio della solitudine, Gesù è luce con la sua presenza. Nel buio del peccato, Gesù è luce con il suo perdono. Nel buio dell’errore, Gesù è luce con la sua verità. Nel buio della morte, Gesù è luce con la sua risurrezione.

Lux lucet in tenebris! Che bell’Evangelo! Che felice intuizione hanno avuto i nostri padri e le nostre madri a porre quel versetto nello stemma della nostra Chiesa! Che bel  XVII Febbraio può celebrare una Comunità che si riconosca nel suo stemma e sia lei per prima avvolta non nelle tenebre,  ma nella luce che splende nelle tenebre!  Amen.

 

[1] Beatrice Grill, di Messina, presidente del Centro Culturale Valdese Gian Luigi Pascale, di Guardia Piemontese (Cosenza).

[2]  Il 17 Febbraio 1848 il re sabaudo Carlo Alberto concesse ai Valdese (e un mese dopo anche ahli Ebrei), dopo secoli di dure persecuzioni di ogni genere, i «diritti civili» (non ancora quelli religiosi: la libertà religiosa fu sancita in Italia solo cento anni dopo, con la Costituzione Repubblicana del 1948). Il 17 Febbraio di ogni anno i Valdesi e altri Evangelici d’Italia, e oggi anche dei Cattolici in spirito ecumenico, ricordano quella data con una festa, che oggi si chiama «Festa della Libertà», in occasione della quale si accendono, la sera del 16, dei falò di gioia sulle colline delle Valli Valdesi, ma anche in altri luoghi d’Italia, si celebra un culto speciale, si partecipa a un pranzo comunitario e, dove è possibile, si organizza uno spettacolo teatrale o anche corale e musicale.

La Festa del XVII Febbraio di quest’anno 2020 è stata celebrata in tutte le Chiese Valdesi e Metodiste d’Italia, in solidarietà con le Comunità ebraiche, alla lotta comune contro il risorgente antisemitismo. Questa iniziativa è stata promossa dalla Federazione della Chiese Evangeliche in Italia.

[3]  Insieme a Torre Pellice (Torino) e Venezia

[4]  C’era in Calabria una fiorente Comunità valdese che aveva a Guardia (Cosenza) il suo centro, ma si era estesa ad altre località vicine: Fuscaldo, Vaccarizzo, S. Sisto e Montalto. Dopo che fu arrestato e giustiziato a Roma, nella piazzetta di fronte a Castel S. Angelo, il loro Pastore, di nome Giovan Luigi Pascale, da Cuneo, ai primi di giugno dell’anno successivo, 1561, la Comunità valdese di Calabria fu totalmente annientata: la maggior parte, per salvare la vita, accettò di tornare alla fede cattolica romana, gli altri – diverse centinaia, ma il numero esatto non si conosce – preferirono morire piuttosto che abiurare. Questo eccidio viene oggi ricordato a Guardia in vari modo, il 5 giugno di ogni anno, come «giorno della memoria».

(Sabato, 29 febbraio 2020)

Pubblico la lettera che Martin Luther King scrisse dal carcere di Birmingham il 16 aprile 1963, come risposta alla lettera aperta con la quale otto sacredoti bianchi avevano definito le sue dimostrazioni "imprudenti" e "intempestive". L'illustrazione è di Ron Hill e tratta dal libro "Martin Luther King" di Rufus Burrow Jr.

 

Miei cari colleghi sacerdoti,
mentre sono confinato nella prigione di Birmingham, sono qui a rispondere alle vostre recenti dichiarazioni secondo cui le mie attuali attività sono da considerarsi “avventate ed inopportune”. Raramente faccio passare del tempo per rispondere alle critiche sul mio lavoro e sulle mie idee. Se cercassi di rispondere a tutte le critiche che arrivano sul mio tavolo, le mie segretarie avrebbero poco tempo per dedicarsi all’altra corrispondenza della giornata ed io non avrei tempo per dedicarmi a qualcos’altro di costruttivo. Ma poiché sento che voi siete uomini di sincera e buona volontà e che le vostre critiche sono sinceramente costruttive, voglio provare a rispondere alle vostre osservazioni in quelli che spero siano termini pazienti e ragionevoli.

Io penso di dover indicare perché sono qui a Birmingham poiché siete stati influenzati dalla opinione per cui siete contro gli “stranieri che si intrufolano” (nel merito dei problemi di altri). Ho l’onore di servire come presidente della Southern Christian Leadership Conference, una organizzazione che opera in ogni stato del Sud, la cui sede principale è ad Atlanta in Georgia. Abbiamo circa ottantacinque organizzazioni affiliate per tutto il Sud ed una di loro è l’Alabama Christian Movement for Human Rights. Di frequente noi condividiamo con i nostri affiliati sia il personale di staff che le risorse educative e finanziarie. Diversi mesi fa l’affiliato di Birmingham ci chiese di essere pronti ad intervenire in un programma di azione diretta non-violenta se ce ne fosse stato bisogno. Abbiamo acconsentito prontamente e quando l’ora è venuta siamo stati pronti a tener fede alla nostra promessa. Così io, e diversi membri del mio staff, sono qui perché invitato, sono qui perché qui ho legami organizzativi

Ma in modo più basilare sono a Birmingham perché qui regna l’ingiustizia. Proprio come i profeti, già otto secoli prima di Cristo, che lasciarono i loro villaggi per portarsi lontano “così come disse il Signore” oltre i confini delle loro città natie, e così come l’Apostolo Paolo lasciò il suo villaggio di Tarso e portò il Vangelo di Gesù Cristo agli angoli più lontani del mondo greco-romano, così io sono stato costretto a portare la parola libertà oltre la mia propria città natale. Come Paolo devo costantemente rispondere alle chiamate di aiuti dei Macedoni. E inoltre sono cosciente delle interrelazioni tra tutte le comunità e gli stati. Non posso stare oziosamente seduto ad Atlanta e non essere preoccupato di quello che succede a Birmingham. L’ingiustizia, ovunque, è una minaccia alla giustizia ovunque. Siamo tenuti in una inevitabile rete di mutualità legati dallo stesso destino.

Ogni cosa che tocchi uno direttamente tocca tutti indirettamente. Mai potremo di nuovo permetterci di vivere con l’angusta, provinciale idea dell’"agitatore esterno”. Chiunque viva dentro gli Stati Uniti non può essere considerato un estraneo all’interno dei suoi confini.Voi deplorate le dimostrazioni che hanno avuto luogo a Birmingham. Ma le vostre argomentazioni, mi spiace dirlo, sbagliano ad esprimere una simile preoccupazione per le condizioni che portarono alle dimostrazioni. Sono sicuro che nessuno di voi vorrebbe rimanere soddisfatto con il superficiale tipo di analisi sociale che tratta semplicemente degli effetti senza preoccuparsi delle cause di fondo.

È stata una sfortuna che le dimostrazioni abbiano avuto luogo a Birmingham ma è anche più sfortunato il fatto che le strutture della potenza bianca della città abbiano lasciato senza alternative la comunità dei Negri. In ogni dimostrazione non-violenta ci sono quattro passi fondamentali: l’insieme dei fatti che dimostrano che l’ingiustizia esiste; la negoziazione; l’auto-purificazione e l’azione diretta. Noi abbiamo seguito tutti questi passi a Birmingham. Non possono esserci contraddizioni. Il fatto che l’ingiustizia razziale inghiottisce questa comunità. Birmingham è probabilmente la città più minuziosamente segregata negli Stati Uniti. Il suo brutto primato di brutalità è largamente diffuso. I Negri hanno avuto molta esperienza di trattamenti ingiusti nei tribunali. Ci sono stati più casi irrisolti di case e chiese di Negri fatte saltare in aria in Birmingham che in ogni altra città della nazione. Questi sono i duri e brutali fatti del caso. Sulla base di queste condizioni i leader Negri cercarono di negoziare con i capi della città. Ma questi ultimi rifiutarono coerentemente di impegnarsi in una buona/fiduciosa negoziazione.

Poi, nel settembre scorso, venne l’opportunità di parlare con i leader della comunità economica di Birmingham. Nel corso della negoziazione alcune promesse furono fatte dai commercianti, per esempio, di rimuovere dai magazzini quegli umilianti cartelli razziali. Sulla base di queste promesse, il reverendo Fred Shuttlesworth ed i leader dell’Alabama Christian Movement for Human Rights accondiscesero ad una moratoria di tutte le dimostrazioni. E nelle settimane e nei mesi successivi realizzammo di essere stati le vittime delle promesse tradite. Qualche cartello, tolto di sfuggita, fu rimesso; gli altri rimasero.

Come molti altri aspettammo di vedere Mr. Condor sconfitto ed a questo obiettivo abbiamo resistito a posporre e poi posporre. Avendo corrisposto aiuti in questa comunità bisognosa abbiamo sentito che il nostro programma di azione diretta non può essere rimandato oltre.

Potete ben chiedere:”Perché l’azione diretta? Perché i sit-in, marce e così via? Non è la negoziazione una strada migliore? Avete quasi ragione a chiedere una negoziazione. Infatti questo è il vero scopo dell’azione diretta. L’azione diretta non-violenta cerca di creare una crisi ed incoraggia una tensione che costringa, una comunità che è stata costantemente rifiutata al negoziato, a confrontarsi col problema. Essa cerca di drammatizzare così tanto il problema che non possa essere ignorato. La mia citazione della creazione della tensione come parte del lavoro di una resistenza non-violenta può suonare scioccante. Ma devo confessare che non ho paura della “tensione” del mondo. Ho seriamente opposto una tensione non-violenta ma c’è un tipo di tensione costruttiva non-violenta che è necessaria per la crescita. Così come Socrate sentì che era necessario creare una tensione nella mente perché gli individui potessero innalzarsi dalla schiavitù dei miti e delle mezze verità per il regno dei liberi di condurre analisi creative e valutazioni oggettive, così dobbiamo vedere la necessità della non-violenza di creare un tipo di tensione nella società che aiuterà gli uomini a sollevarsi dalla oscura profondità del pregiudizio e del razzismo alle maestose altezze della comprensione e della fratellanza. Lo scopo del nostro programma di azione diretta non-violenta è di creare una situazione di crisi che aprirà inevitabilmente la porta della negoziazione. Quindi concordo con voi nell’invocare un negoziato. Troppo a lungo la nostra adorata terra del Sud è stata impantanata nel tragico sforzo di sostenere un monologo anziché un dialogo.

Uno dei punti basilari delle vostre dichiarazioni è che l’azione tenuta da me e dai miei associati a Birmingham è inopportuna. Qualcuno ha chiesto:”Perché non date tempo alla nuova amministrazione comunale di agire?” La sola risposta che posso dare a questa domanda è che la nuova amministrazione di Birmingham deve essere spinta al problema quanto quella uscente prima che agisca. Abbiamo tristemente sbagliato se pensiamo che l’elezione di Albert Boutwell come sindaco possa portare il millennio a Birmingham. Mentre il signor Boutwell è una persona molto più gentile del signor Condor, sono entrambi segregazionisti, dedicati al mantenimento dello status quo. Ho sperato che il signor Boutwell fosse sufficientemente ragionevole da vedere futile una resistenza di massa alla disegregazione. Ma non vede senza la pressione dei sostenitori dei diritti civili.

Amici miei, devo dirvi che non abbiamo fatto un singolo profitto nei diritti civili senza una determinata, legale e non-violenta pressione. Doloroso è un fatto storico per cui gruppi privilegiati raramente rinunciano volontariamente ai loro privilegi. Gli individui possono vedere la luce della morale e volontariamente possono cambiare il loro ingiusto comportamento; ma come Reinhold Niebuhr ci ha ricordato, i gruppi tendono ad essere più immorali degli individui. (Per dirla in un altro modo … la vita è un morso che nessuno ti vuol far dare su quello che tiene … P. Daniele) Sappiamo attraverso dolorose esperienze che la libertà non è mai data volontariamente dall’oppressore; deve essere chiesta dall’oppresso. Mi sono appena impegnato in una lotta ad azione diretta che era ben programmata nell’ottica di coloro che non hanno sofferto eccessivamente della malattia della segregazione. Per anni ho sentito la parola “aspetta!”. Suona nell’orecchio di ogni Negro con acuta familiarità. Questo “aspetta” ha molto spesso voluto significare “mai”. Dobbiamo venire a vedere con uno dei nostri eminenti giuristi che “la giustizia troppo a lungo ritardata è giustizia negata.”

Abbiamo aspettato per oltre 340 anni per i nostri diritti costituzionali e dati da Dio. Le nazioni africane ed asiatiche si stanno muovendo con velocità supersonica verso l’acquisizione dell’indipendenza politica. Ma noi avanziamo ancora pian pianino col passo “del cavallo e del coniglio” verso il guadagno di una tazza di caffè allo sportello del self-service. Forse è facile per quelli che non hanno mai provato la puntura della freccetta della segregazione dire “aspetta”. Ma quando avete visto la calca cattiva linciare le vostre madri ed i vostri padri per volontà e affogare le vostre sorelle e i vostri fratelli per capriccio; quando avete visto poliziotti pieni d’odio maledire, dare calci e spesso uccidere i vostri fratelli e le vostre sorelle neri; quando vedete la vasta maggioranza dei venti milioni di vostri fratelli Negri soffocare nella gabbia ermetica della povertà in mezzo ad una ricca società; quando improvvisamente trovate la vostra lingua attorcigliata ed il vostro discorso balbettare mentre cercate di spiegare a vostra figlia di sei anni che lei non può andare al parco pubblico dei divertimenti che è stato appena pubblicizzato in televisione, e vedete le lacrime sgorgare dai suoi occhi quando dice che il parco dei divertimenti è chiuso ai bambini di colore, e vedete nuvole minacciose di inferiorità cominciare a formarsi nel suo piccolo cielo mentale, e vedete come cominci a distorcere la sua personalità sviluppando un’inconscia amarezza verso la gente bianca; quando dovete inventarvi una risposta per un figlio di cinque anni che chiede:”Papà, perché gli uomini bianchi trattano la gente di colore in modo così cattivo?”; quando prendete un noleggiatore e lo trovate necessario per dormire notte dopo notte negli angoli scomodi della vostra automobile perché nessun motel vi accetterà; quando siete umiliati giorno per giorno da continue osservazioni leggendo “bianchi” e “neri”; quando il tuo primo nome diventa “negro”, il tuo secondo nome diventa “ragazzo” (qualunque sia la tua età) ed il tuo ultimo nome diventa “John”, e le vostre mogli e madri non ricevono mai il titolo di “signora”; quando siete assillati di giorno e cacciati di notte per il fatto che siete un Negro e vivete costantemente in punta di piedi, senza sapere mai cosa aspettarsi dopo, e siete tormentati con paure interiori e risentimenti esterni; quando dovete combattere sempre un degenere senso di “essere nessuno” allora capirete perché troviamo difficile aspettare. Viene il momento in cui la coppa della pazienza si esaurisce e gli uomini non sono più disposti ad essere spinti nell’abisso della disperazione. Spero signori, che voi capiate la nostra legittima ed inevitabile impazienza.

Voi esprimete un grande senso di ansietà circa la nostra intenzione di non rispettare la legge. Questa è certamente una preoccupazione legittima. Poiché noi, così diligentemente, stimoliamo la gente ad obbedire alle decisioni della Corte Suprema del 1954 che ha dichiarato fuori legge la segregazione nelle scuole pubbliche, a prima vista può sembrare piuttosto paradossale per noi consci di non rispettare la legge. Una domanda possiamo ben fare:”Come si può non rispettare alcune leggi ed obbedire a delle altre?”. La risposta sta nel fatto che ci sono due tipi di leggi: giuste ed ingiuste.

Io sarei il primo a chiedere di obbedire alle leggi giuste. Uno ha una responsabilità non solo legale ma anche morale per obbedire a leggi giuste. Al contrario, uno ha la responsabilità morale di disobbedire a leggi ingiuste. Sono d’accordo con S. Agostino per cui:”Una legge ingiusta non è affatto una legge”. Ora qual è la differenza fra le due? Come si può determinare se una legge è giusta o ingiusta? Una legge giusta è un codice fatto dall’uomo che è coerente con la legge morale e la legge di Dio. Una legge ingiusta è un codice che non è in armonia con la legge morale. Per porla nei termini di S. Tommaso d’Aquino:”Una legge ingiusta è una legge umana che non trova radice nella legge eterna e nella legge naturale. Ogni legge che innalza la personalità umana è giusta. Ogni legge che degrada la personalità umana è ingiusta. Tutti gli statuti segregazionisti sono ingiusti perché la segregazione distorce l’anima e danneggia la personalità. Da al segregatore un falso senso di superiorità e al segregato un falso senso di inferiorità. La segregazione, per usare una terminologia del filosofo israeliano Martin Buber, sostituisce una relazione “io-esso” con una relazione “io-essi” e finisce col relegare le persone allo stato di cose. Dunque la segregazione non è solo politicamente, economicamente e socialmente discordante ma è moralmente sbagliata e peccaminosa. Paul Tillich ha detto che il peccato è separazione. Non è la segregazione una espressione esistenziale della tragica separazione degli uomini, la sua tremenda alienazione, la sua terribile peccaminosità? Così posso suggerire agli uomini di obbedire alla decisione della Suprema Corte del 1954 per la sua giustezza morale; e posso suggerire loro di disobbedire alle ordinanze segregative perché moralmente sbagliate. Consideriamo un esempio più concreto di leggi giuste ed ingiuste. Una legge ingiusta è un codice che un gruppo più forte o più numeroso obbliga un gruppo minoritario ad obbedire senza vincolare se stesso. Questa è una differenza resa legale. Allo stesso modo, una legge giusta è un codice che una maggioranza impone ad una minoranza e da prova di buona volontà nel seguirla essa stessa. Questa è parità legale.

Lasciatemi dare un’altra spiegazione. Una legge è ingiusta se inflitta ad una minoranza che come suo risultato vede negato il diritto al voto, e non partecipa all’emanazione o a concepire la legge stessa. Chi può dire che la legislatura dell’Alabama che istituisce quelle leggi segregazioniste degli stati è stata democraticamente eletta? In tutta l’Alabama tutte le specie di metodi contorti sono stati usati per prevenire il fatto che i Negri possano divenire votanti registrati, e ci sono paesi in cui, sebbene i Negri costituiscano la maggioranza della popolazione, non un singolo Negro è registrato. Può qualche legge essere emanata in circostanze considerabili strutturate democraticamente?

Qualche volta una legge è giusta in apparenza ma ingiusta nella sua applicazione. Per esempio sono stato arrestato durante una manifestazione non permessa. Ora, non c’è nulla di sbagliato nell’avere un’ordinanza che richieda il permesso per fare delle manifestazioni. Ma un’ordinanza diventa ingiusta quando viene usata per mantenere la segregazione e negare ai cittadini il privilegio del Primo Emendamento delle assemblee pacifiche e della protesta. Spero siate in grado di percepire la differenza che sto tentando di far emergere. Io sostengo che non ha senso eludere o resistere a una legge come vorrebbero i segregazionisti fanatici. Indurrebbe all’anarchia. Chi si oppone ad una legge ingiusta deve farlo apertamente, amorevolmente e con il buon proposito di accettarne la pena. Io penso che ogni individuo che non rispetti la legge che la sua coscienza gli dimostri ingiusta e chi di buon grado accetta la pena della prigione per svegliare la coscienza della comunità sulla sua ingiustizia, in realtà sta dimostrando il più alto rispetto per la giustizia. Naturalmente non c’è niente di nuovo su questo tipo di disobbedienza civile. Fu evidenziato sublimemente nel rifiuto di Shadrach, Mechach e Abednego di obbedire alle leggi di Nebuchadnezzar in ragione che una più alta legge morale fosse la vera questione di fondo. È stata praticata superbamente dai primi cristiani che erano di buon grado di fronte ai leoni affamati e allo straziante dolore dei blocchi instabili piuttosto che sottomettersi alle leggi ingiuste dell’Impero Romano. Accedere liberamente ad una laurea oggi è una realtà perché Socrate praticava la disobbedienza civile. Nella nostra nazione il Boston Tea Party rappresentò un grande atto di disobbedienza civile.

Non dovremmo mai dimenticare che tutto quello che Adolf Hitler fece in Germania fu “legale” e che tutto quello che fecero in Ungheria i combattenti ungheresi per la libertà fu “illegale”. Fu illegale l’aiuto ed il conforto agli ebrei nella Germania di Hitler.

E così, sono sicuro che se fossi vissuto in Germania a quel tempo avrei aiutato e confortato i miei fratelli ebrei. Se oggi vivessi nei paesi comunisti dove certi principi cari alla carità cristiana sono soppressi, avrei apertamente sostenuto la disobbedienza alle leggi antireligiose di quei paesi.

Devo farvi due oneste confessioni fratelli cristiani ed ebrei. Prima devo confessare che sopra i pochi ultimi anni passati sono stato in grave disaccordo con i bianchi moderati. Ho almeno raggiunto la deplorevole conclusione che il maggior ostacolo dei neri nel loro camminare a passi lunghi verso la libertà non è il White Citizen’s Counciler o il Ku Klux Klanner, ma i bianchi moderati che sono più legati all’ordine che alla giustizia. Chi preferisce una pace negativa che è l’assenza di tensione verso una pace positiva che è la presenza della giustizia; chi dice costantemente: “sono d’accordo con te verso l’obiettivo che stai perseguendo ma non sono d’accordo con te con i tuoi metodi di azione diretta”; chi paternalisticamente crede di poter definire una scala temporale per un’altra libertà degli uomini; chi vive col concetto mitico del tempo e chi costantemente avvisa il Negro di aspettare una “stagione più conveniente”. Una comprensione superficiale della gente di buona volontà è più frustrante della completa incomprensione della gente di cattiva volontà. La tiepida accettazione è molto più sconcertante di un aperto rifiuto. (D’altro canto si dice che l’inferno sia lastricato di buone intenzioni mai applicate!) Ho sperato che i bianchi moderati avessero capito che la legge e l’ordine esistono allo scopo di stabilire giustizia e che quando sbagliano in questo scopo diventano la diga così pericolosamente strutturata che blocca il flusso del progresso sociale. Ho sperato che i bianchi moderati avessero capito che l’attuale tensione del Sud è una fase di transizione necessaria da una disgustosa pace negativa, in cui il Negro accetta passivamente la sua ingiusta situazione, ad una pace solida e positiva in cui ogni uomo rispetterà la dignità ed il valore della personalità umana. Attualmente, noi che siamo impegnati in un’azione diretta non-violenta non siamo i creatori di questa tensione. Noi semplicemente portiamo in superficie la tensione nascosta che è già viva. Noi la portiamo all’aperto dove può essere vista e condivisa. Come qualcosa che raggiunge l’ebollizione e che non può essere più curato dal coperchio ma deve essere aperta con tutte le bruttezze delle medicine naturali dell’aria e della luce, l’ingiustizia deve esplodere con tutte le tensioni che la sua esplosione crea, alla luce della coscienza umana e all’aria della opinione nazionale prima che possa essere curata.

Nelle vostre dichiarazioni asserite che le nostre azioni, sebbene spesso pacifiste, devono essere condannate perché propedeutiche alla violenza. Ma è una asserzione logica? Non è questo come condannare un uomo rapinato perché il suo possesso di danaro è propedeutico all’atto diabolico della rapina? Non è come condannare Socrate perché il suo impegno a non rispondere che alla verità ed i suoi perché filosofici sono propedeutici all’azione sbagliata della popolazione che gli ha fatto bere la cicuta? Non è questo come condannare Gesù perché la sua unicità della conoscenza di Dio e la mai cessante devozione al volere di Dio sono propedeutici alla diabolica azione della crocifissione? Dobbiamo prendere atto che la corte federale ha coerentemente affermato che è sbagliato stimolare un individuo a far cessare il suo sforzo per raggiungere i suoi diritti costituzionali di base perché la cosa può essere propedeutica alla violenza. La società deve proteggere il rapinato e punire il rapinatore.

Ho anche sperato che i bianchi moderati avrebbero rigettato il mito del tempo in relazione alla lotta per la libertà. Ho appena ricevuto una lettera di un fratello bianco del Texas. Egli scrive:”Tutti i cristiani sanno che la gente di colore deve riceve eventualmente gli stessi diritti, ma è possibile che lei metta troppa fretta al senso religioso. La cristianità ha impiegato duemila anni per ottenere quello che ha. Gli insegnamenti di Cristo hanno bisogno di tempo per prendere piede.” Da cui prende piede l’atteggiamento di una tragica idea sbagliata del tempo per cui da questa estranea irrazionale nozione si deriva che ci sia qualcosa nel fluire del tempo che inevitabilmente curerà tutti i mali. Attualmente il tempo di per se stesso è neutrale; può essere usato sia in modo costruttivo che distruttivo. Più e più volte ho sentito che la gente di cattiva volontà ha usato il tempo molto più proficuamente che le persone di buona volontà. Questa generazione dovrà pentirsi non semplicemente per le odiose parole e le azioni della gente cattiva ma per lo spaventoso silenzio della gente buona. Il progresso umano non scorre sulle ruote dell’inevitabilità. Viene attraverso gli instancabili sforzi degli uomini disposti ad essere cooperatori con Dio, e senza questo duro lavoro, il tempo di per se stesso diventa un alleato delle forze della stagnazione sociale. Dobbiamo usare il tempo in modo costruttivo nella consapevolezza che il tempo è sempre maturo per fare bene. Ora è il tempo per rendere reale la promessa di democrazia e di trasformare la nostra elegia nazionale pendente in un creativo salmo di fratellanza. Ora è il tempo di far migrare la nostra politica nazionale dalle sabbie mobili dell’ingiustizia razziale alla solida roccia della dignità umana.

Voi parlate delle nostre attività in Birmingham in modo estremo. Prima di tutto sono rimasto piuttosto deluso che dei fedeli ecclesiastici vedessero i miei sforzi non-violenti come quelli di un estremista. Ho cominciato a pensare sul fatto di essere tra due forze opposte nella comunità Negra. Una è una forza di compiacenza, fatta in parte di Negri che, come risultato di lunghi anni di oppressione, sono così depauperati di auto rispetto e senso di “se stessi” che si sono abituati alla segregazione; ed in altra piccola parte di Negri della classe media che, o perché laureati e benestanti, o perché in qualche modo approfittano della segregazione, sono diventati insensibili ai problemi delle masse. L’altra forza è amara ed odiata ed è stata ad un passo dal sostenere la violenza. È espressa nei vari gruppi nazionalisti neri che sono emersi per tutta la nazione, di cui il più grande ed il più conosciuto è il movimento di Eijah Muhammad’s Muslim. Nutrito dalla frustrazione del Negro sulla continua esistenza della discriminazione razziale, questo movimento è costruito da persone che hanno perso la fede nell’America, che hanno assolutamente ripudiato la cristianità, e che hanno concluso che l’uomo bianco è un incorreggibile “demonio”.

Ho provato a stare fra queste due forze dicendo che non abbiamo bisogno di emulare ne “il fare nullismo” del compiacente ne l’odio e la disparità del nazionalismo nero. C’è una più eccelsa strada dell’amore e della protesta non-violenta. Sono grato a Dio che, attraverso la chiesa del Negro, la strada della non-violenza diventi parte integrante della nostra lotta. In questa filosofia non è emersa, ma ora, molte strade del Sud, sono convinto, vorrebbero essere insanguinate. E sono convito per il futuro che se i nostri fratelli bianchi liquidassero come “provocatori canaglie” e “agitatori esterni” quelli di noi che impiegano l’azione diretta non-violenta, e se essi rifiutassero di sostenere i nostri sforzi non-violenti, milioni di Negri, frustrati e disperati, cercheranno consolazione e sicurezza nelle ideologie del nazionalismo nero – uno sviluppo che porterà inevitabilmente ad un pauroso incubo razziale. La gente oppressa non può rimanere oppressa per sempre. Il desiderio intenso per la libertà manifesta eventualmente se stessa ed è quello che è successo ai Negri americani. Qualcosa gli ha ricordato che il suo diritto di nascita è in libertà e qualcosa gli ha ricordato che può essere guadagnato. Consciamente o inconsciamente è stato messo in pari da Zeitgeist e con i suoi fratelli neri d’Africa e con i suoi fratelli scuri e gialli d’Asia. e del Sud America, il Negro degli Stati Uniti si sta muovendo con un senso di grande urgenza attraverso la terra promessa della giustizia razziale. Se uno riconosce questo impulso vitale che ha inghiottito la comunità Negra, uno dovrebbe prontamente capire perché stanno avendo luogo le dimostrazioni Apubbliche. Il Negro ha molti risentimenti repressi e frustrazioni latenti, e deve liberasene. Così lasciatelo marciare; lasciatelo pregare in pellegrinaggio verso il comune; lasciatelo andare sulle strade della libertà e provate a capire perché deve fare così. Se non si libera delle sue emozioni represse in modo non-violento egli cercherà risposte tra la violenza. Questa non è una minaccia ma un fatto storico. Così non ho detto alla mia gente:”Liberati del tuo di scontento”. Piuttosto ho provato a dire che questo normale e sano scontento può essere incanalato verso uno sbocco di azione diretta non-violenta. E ora questo approccio è definito estremista.

Ma benché fossi inizialmente deluso dall’essere definito estremista ho continuato a pensare alla questione e gradualmente ho guadagnato una misura di soddisfazione da quella etichetta. Non fu Gesù un estremista per amore:”ama i tuoi nemici, benedici coloro che ti maledicono, fa del bene a quelli che ti odiano e prega per quelli che ti usano e ti perseguitano.” Non fu Amos un estremista per giustizia:”lascia che la giustizia sgorghi come acqua e la rettitudine come un flusso senza fine”. Non fu Paolo un estremista del Vangelo cristiano:”Porto nel mio corpo i segni del nostro signore Gesù”. Non fu Martin luthero un estremista:”Qui rimango. Non posso fare altrimenti così aiutami o Dio”. E John Bunyan:”Starò in prigione e prima della fine dei miei giorni farò un macello della mia coscienza”. E Abramo Lincoln:”Questa nazione non può sopravvivere mezza schiava e mezza libera.” E Tommaso Jefferson:”Consideriamo queste verità evidenti di per se stesse che tutti gli uomini sono creati uguali”. Così la questione non è se siamo estremisti, ma che tipo di estremisti saremo. Saremo estremisti per odio o per amore? Saremo estremisti per la conservazione dell’ingiustizia o per l’estensione della giustizia? In quella drammatica scena sulla collina del Calvario tre uomini furono crocefissi. Non dobbiamo mai dimenticare che quei tre uomini furono crocefissi per lo stesso crimine – il crimine dell’estremismo.

Ho sperato che i bianchi moderati avessero visto questa necessità. Forse sono stato troppo ottimista; forse mi sono aspettato molto. Suppongo che avrei dovuto realizzare che pochi membri della razza oppressiva potessero capire i profondi lamenti e la passione del desiderio intenso della razza oppressa e che ancora meno avessero la visione di comprendere che l’ingiustizia deve essere spazzata via con forza, persistenza ed azione determinata. Sono riconoscente, tuttavia, ad alcuni dei nostri fratelli bianchi nel Sud che hanno compreso il senso di questa rivoluzione sociale e di essersi impegnati per essa. Sono ancora pochi quantitativamente, ma sono grandi in qualità. Alcuni – come Ralph McGill, Lillian Smith, Harry Golden, James McBride Dabbs, Ann Braden, e Sarah Patton Boyle – hanno scritto sulla nostra lotta in termini eloquenti e profetici. Altri hanno marciato con noi giù per le strade senza nome del Sud. Sono stati lasciati a languire in luride ed infestate prigioni soffrendo gli abusi e le brutalità dei poliziotti che li vedevano come “sporchi amici dei negri”. Non come molti dei loro fratelli e sorelle moderati essi hanno colto l’urgenza del momento ed il senso della necessità per un’”azione” potente antidoto per combattere la malattia della segregazione.

Lasciatemi annotare un’altra mia grande delusione. Sono rimasto fortemente deluso dalla chiesa dei bianchi e con i suoi capi. Naturalmente ci sono da notare alcune eccezioni. Non sono disattento sul fatto che ognuno di voi ha assunto posizioni significative su questo problema. Lodo voi reverendo Stallings per l’atteggiameAnto cristiano avuto lo scorso sabato, nel dare il benvenuto ai Negri nel vostro servizio di culto su basi non segregazioniste. Lodo i leader cattolici di questo stato per aver promosso l’integrazione allo Spring Hill College già diversi anni fa. Ma malgrado queste eccezioni degne di nota, devo onestamente reiterare che sono stato deluso dalla chiesa. Non dico questo come una di quelle critiche negative che possono sempre trovare qualcosa di sbagliato nella chiesa. Dico questo come ministro del Vangelo, che ama la chiesa; che è stato allevato nel suo seno; che è stato sostenuto dalla sua benedizione spirituale e che rimarrà fedele ad essa per tutta la durata del filo della vita.

Quando sono stato improvvisamente catapultato a capo della protesta dei bus di Montgomery, in Alabama, pochi anni fa, ho sentito che avrei voluto essere appoggiato dalla chiesa dei bianchi. Ho sentito che i sacerdoti bianchi, i ministri ed i rabbini del Sud sarebbero stati fra i nostri più forti alleati. Invece alcuni sono stati apertamente degli oppositori rifiutando di capire il movimento per la libertà disconoscendo i suoi leader rappresentativi.; molti altri sono stati più cauti che coraggiosi e sono rimasti in silenzio dietro l’anestetizzante sicurezza delle vetrate. A dispetto dei miei sogni distrutti, venni a Birmingham con la speranza che i capi religiosi bianchi di questa comunità avrebbero visto la giustezza della nostra causa e, con profondo impegno morale, avrebbero servito incanalando il nostro giusto risentimento che avrebbe potuto raggiungere una potente struttura. Io ho sperato che ognuno di voi avrebbe capito. Ma, di nuovo, sono rimasto deluso. Ho sentito numerosi leader religiosi del Sud ammonire i loro fedeli di conformarsi ad una decisione contro il segregazionismo perché è la legge, ma ho anche sentito dichiararAe dai sacerdoti bianchi :”Seguite questo decreto perché l’integrazione è moralmente giusta e perché il Negro è tuo fratello”.

In mezzo alla flagrante ingiustizia inflitta al Negro, ho visto sacerdoti bianchi stare in secondo piano e bocche pie inappropriate e frivolezze da bigotti. Nel mezzo di una forte lotta per sbarazzare la nostra nazione dell’ingiustizia economica e razziale, ho sentito molti sacerdoti dire: “Quelli sono problemi sociali con cui il Vangelo non ha implicazioni reali”. Ed ho visto molte chiese impegnare se stesse su questioni religiose completamente dell’altro mondo che trovava bizzarro una distinzione non biblica tra corpo e anima , tra sacro e secolare. Ho girato in lungo e largo l’Alabama, il Mississippi e tutti gli altri stati del Sud. Nei giorni soffocanti d’estate e nelle frizzanti mattine d’autunno ho visto le meravigliose chiese del Sud con le loro imponenti guglie che guardano verso il cielo. Ho scorso l’impressionante profilo dei loro massicci seminari. E su tutto ho trovato me stesso che chiedeva:”Che tipi di fedeli ci sono qui? Chi è il loro Dio? Dove erano le loro voci quando dalle labbra del Governatore Barnett colavano parole di interposizione e annullamento? Dove erano questi quando il Governatore Wallace lanciò una squillante chiamata a raccolta per sfida e odio? Dove erano le loro voci di sostegno quando uomini e donne Negri lividi e stanchi decisero di sollevarsi dalla buia prigione sotterranea della compiacenza alle colline luminose della protesta creativa?”. Si queste questioni sono ancora nella mia mente. Profondamente deluso ho pianto per il lassismo della chiesa. Ma state sicuri che le mie sono state lacrime d’amore. Non può esserci una profonda delusione senza un profondo amore. Si io amo la Chiesa. Come potrei altrimenti? Sono un pò nella posizione unica di esserne il figlio, il nipote ed il pro-nipote di preti. Si vedo la Chiesa come il corpo di Cristo. Ma oh! Quanto abbiamo macchiato e spaventato quel corpo a causa della negligenza sociale e la paura di essere non conformisti.

C’era un tempo in cui la Chiesa era molto potente – al tempo in cui i primi cristiani provavano diletto ad essere giudicati degni di soffrire per quello in cui credevano. A quei tempi non è che la Chiesa fosse veramente un termometro che segnasse le idee ed i principi della pubblica opinione; era il termostato che trasformava la maggior parte della società. Non appena i primi cristiani entravano in una città la gente potente veniva disturbata e immediatamente cercava di accusare i cristiani di essere “turbatori della pace” e “agitatori esterni”. Ma i cristiani accettavano nella convinzione di essere “una colonia del paradiso” chiamati ad obbedire a Dio piuttosto che agli uomini.

Erano pochi di numero ma grandi per l’impegno. Erano troppo “intossicati di Dio” per essere “intimiditi astronomicamente”. Con il loro impegno e con il loro esempio misero fine a certe vecchie cattiverie come l’infanticidio ed i contesti gladiatoriali. Le cose ora sono diverse. Molto spesso la chiesa contemporanea è debole con una voce inefficace ed un suono incerto. Molto spesso è un gran difensore dello status quo. Lontana dall’essere disturbata dalla presenza della chiesa, la potente struttura della società media è consolata dal silenzio della chiesa – e spesso perfino dal rumore – che sanziona le cose così come esse sono. Ma il giudizio di Dio è sopra la chiesa come non mai prima. Se la chiesa di oggi non si riappropria dello spirito di sacrificio della prima chiesa, perderà la sua autenticità, perderà la fedeltà di milioni di credenti, e sarà dismessa come un qualsiasi club sociale senza rilevanza senza alcun significato per il ventesimo secolo. Ogni giorno incontro ragazzi che sono delusi dalla chiesa che li ha del tutto disgustati. Forse ancora una volta sono stato troppo ottimista. La religione è organizzata per fare inestricabilmente da confine allo status quo al fine di salvare la nostra nazione ed il mondo? Forse devo indirizzare la mia fede verso l’interno di una chiesa spirituale, una chiesa nella chiesa, come la vera ecclesia e la speranza del mondo. Ma di nuovo sono grato a Dio che qualche nobile anima dalle fila della chiesa organizzata ha spezzato le paralizzanti catene della conformità e abbracciato noi come partner attivi nella battaglia per la libertà. Hanno lasciato le loro sicure congregazioni e percorso le strade di Albany, nella Georgia, con noi. Sono andati giù per l’autostrada del Sud in tortuosi giri per la libertà. Si sono venuti in prigione con noi. Alcuni sono stati allontanati dalle loro chiese, hanno perso l’appoggio dei loro vescovi e dei loro fedeli sacerdoti. Ma hanno dimostrato con la fede che il diritto difeso è più forte della cattiveria trionfante. La loro testimonianza è stata il sale spirituale che ha conservato il vero significato del Vangelo in questi tempi difficili. Hanno scavato un tunnel di speranza nella buia montagna della delusione. Io spero che la chiesa nel suo insieme voglia cogliere la sfida di queste ore decisive. Ma anche se la chiesa non viene in aiuto della giustizia, non devo disperare circa il futuro. Non temo l’esito della nostra lotta in Birmingham anche se le nostre motivazioni non sono comprese al momento. Raggiungeremo l’obiettivo di libertà a Birmingham ed in tutta la nazione, perché l’obiettivo dell’America è la libertà. Benché noi possiamo essere abusati e disprezzati, il nostro destino e legato al destino dell’America. Prima che i padri fondatori fossero a Plymouth, noi eravamo qui. Prima che la penna di Jefferson tracciasse le parole grandiose della Dichiarazione d’Indipendenza attraverso le pagine della storia, noi eravamo qui. Per più di duecento anni i nostri antenati hanno lavorato in questo paese senza salario; produssero cotone; costruirono le case dei loro padroni mentre soffrivano grossolane ingiustizie e vergognose umiliazioni e grazie alla loro vitalità senza limiti essi continuano a crescere e svilupparsi. Se la inesprimibile crudeltà della schiavitù non ha potuto fermarci l’opposizione che abbiamo oggi di fronte fallirà sicuramente. Noi vinceremo la nostra libertà perché la sacra eredità della nostra nazione e l’eterna volontà di Dio sono racchiuse nell’eco delle nostre richieste.

Prima di chiudere sento impellente menzionare un altro punto delle vostre dichiarazioni che mi ha turbato profondamente. Avete vivamente raccomandato alle forze di polizia di Birmingham di mantenere l’”ordine” e “prevenire la violenza”. Io dubito che voi vi sareste così vivamente raccomandati alle forze di polizia se aveste visto i loro cani affondare i loro denti nella carne di Negri disarmati e non-violenti. Io dubito che voi avreste così velocemente raccomandato i poliziotti se aveste osservato i loro brutti e inumani trattamenti riservati ai Negri qui nelle prigioni di questa città; se li aveste visti spingere e maledire vecchie donne e ragazze Negre; se li aveste visti schiaffeggiare e prendere a calci vecchi e ragazzi Negri; se li aveste osservati, come hanno fatto in due occasioni, rifiutare di darci del cibo perché volevamo cantare il nostro grazie insieme. Non posso essere con voi nel fare le lodi del dipartimento di polizia di Birmingham. È vero che la polizia abbia esercitato un certo grado di durezza nel trattare i dimostranti. In questo senso si sono comportati da “non-violenti” in pubblico. Ma per quale scopo? Per conservare il cattivo sistema della segregazione. Dopo gli ultimi cinque anni ho veramente pregato che la non-violenza richiedesse che i mezzi da noi usati fossero tanto puri quanto i fini che volevamo raggiungere.

Ho provato a chiarire che è sbagliato usare mezzi immorali per ottenere fini morali. Ma ora devo affermare che è giusto il contrario, o forse sempre più così, che si usano mezzi morali per preservare fini immorali. Forse il signor Condor ed i suoi poliziotti sono stati piuttosto nonviolenti in pubblico, come lo era il Capo Pritchett ad Albany, in Georgia, ma hanno usato mezzi morali nonviolenti per mantenere il fine immorale della ingiustizia razziale. Come T.S. Eliot ha detto:” L’ultima tentazione è il più grande tradimento: fare l’atto giusto per la ragione sbagliata”.

Spero abbiate lodato i Negri che hanno praticato il sit-in ed i dimostranti di Birmingham per il loro sublime coraggio, l’aver accettato di buon grado la sofferenza e la loro sorprendente rettitudine nel mezzo della provocazione. Un giorno il Sud riconoscerà i suoi veri eroi. Essi saranno i James Merediths con il nobile senso dello scopo che li rende capaci di urlare in faccia, di essere folla ostile, e con l’agonizzante solitudine che caratterizza la vita dei pionieri. Essi saranno Negri vecchi, oppressi e maltrattati simboleggiati da una donna settantaduenne di Montgomery, Alabama, che sta su, con un senso di dignità, e con la sua gente decisa a non usare i bus della segregazione e che risponde in modo sgrammaticato a chi gli chiede della sua stanchezza:”I miei piedi è stanco ma la mia anima è a riposo”.

Saranno i giovani studenti delle scuole superiori e dei college, i giovani sacerdoti del Vangelo ed una schiera dei più anziani, coraggiosamente e pacificamente seduti agli sportelli del self-service che accettano di buon grado di andare in prigione per amore di coscienza. Un giorno il Sud conoscerà che quando questi ragazzi di Dio diseredati faranno il sit-in agli sportelli del self-service, in realtà essi staranno in piedi per il meglio del sogno americano e per i valori più sacri della nostra eredità giudaico-cristiana, portando così la nostra nazione indietro a quei grandi valori di democrazia che furono così profondamente scavati dai padri fondatori nella loro formulazione della Costituzione e della Dichiarazione d’Indipendenza.

Mai prima d’ora ho scritto una lettera così lunga. Ho paura di aver abusato troppo del vostro tempo prezioso. Vi assicuro che avrei voluto essere più breve se avessi potuto scrivere su un tavolo più confortevole, ma cos’altro può fare uno quando è da solo in una scura cella della prigione, se non scrivere lunghe lettere, pensare lunghi pensieri e pregare lunghe preghiere? Se ho detto qualcosa in questa lettera che esagera la verità ed indica una irragionevole impazienza, vi prego di dimenticarmi. Se ho detto qualcosa che sminuisce la verità e indica che la mia capacità ad avere pazienza mi consente di appianare ogni cosa meno che la fratellanza, prego Dio di dimenticarmi.

Spero che questa mia lettera vi trovi forti nella fede. Spero anche che le circostanze rendano presto possibile un incontro con ciascuno di voi non in veste di integrazionista o di leader dei diritti civili ma come un fedele membro del clero ed un fratello cristiano. Speriamo tutti che il buio delle nubi del pregiudizio razziale passi al più presto e che la fitta nebbia dell’incomprensione venga lasciata fuori dalle nostre comunità già impregnate di paura, e che in qualche non distante domani le stelle radianti della fratellanza e dell’amore risplendano sulla nostra grande nazione con tutta la loro scintillante bellezza.

Vostro per la causa della Pace e della Fratellanza
Martin luther King Jr.

(Domenica, 16 giugno 2019)

On. Salvini,
sono un'insegnante elementare in pensione, Le scrivo per ciò che ha riguardato nei giorni scorsi i migranti, soccorsi in mare dalla nave Aquarius, di un'associazione non governativa. In primis non facendoli sbarcare e minacciando di chiudere i porti, poi per l'esultanza, scomposta e fuori luogo, di alcuni parlamentari e ministri della nostra Repubblica, quando la stessa nave, scortata da due nostre navi militari e dopo giorni di navigazione è giunta a Valencia. Hanno esultato come se avessero vinto al Gratta e Vinci!!
Questo, da cittadina italiana, madre e nonna, mi ha rattristato e inquietato, mai avrei pensato fossimo giunti al punto di negare un approdo sicuro a uomini, donne e bambini, scappati dai loro paesi d'origine a causa della guerra, della fame, delle discriminazioni tra etnie diverse, delle persecuzioni religiose e di tutto ciò che viola la libertà e i diritti umani e che hanno superato tante difficoltà nell'attraversare il deserto.
Poi, arrivati in Libia nei centri di raccolta o di detenzione, sono stati oggetto di sevizie, torture e stupri!!
Le chiedo, queste persone quale colpa avevano per vedersi negato lo sbarco?
L'unica colpa, penso, sia quella di trovare un posto sicuro per costruirsi una nuova vita.
Per chi fugge dalla violenza, dalla povertà estrema e dalle discriminazioni, trovare nel paese d'arrivo una comunità accogliente, una famiglia accogliente, una persona accogliente è la prima condizione per ricominciare a vivere e a sperare in un futuro migliore per se e i propri figli.
Ella, On. Ministro, dimentica la storia, il nostro popolo è stato, ed è un popolo di migranti, un popolo che ha sofferto ed ha vissuto sulla propria pelle le avversità del viaggio, i problemi dell'arrivo in un posto sconosciuto, la difficoltà della lingua, molto spesso, chi voleva andare in Francia o in Svizzera, si affidava a contrabbandieri e li pagava profumatamente per attraversare il confine.
Quasi tutte le regioni sono state coinvolte dalla migrazione.
Questo nostro passato avrebbe dovuto aiutarla a venire incontro a quelle persone disperate; ad avere rispetto per tutte le persone che erano su quella nave e che chiedevano aiuto.
Forse ha dimenticato la nostra Costituzione? Forse l'ha fatto perché erano di colore e africani?
L'avrebbe fatto se fossero stati rumeni?
Per sua conoscenza, Le scrivo che tra le comunità straniere presenti in Italia al primo posto ci sono i rumeni, al 3° i marocchini e al 13° posto i senegalesi.
Ella, insieme al governo di cui fa parte, dite sempre che siamo invasi dai migranti e che gli altri stati europei ne hanno meno. Mi sono documentata e quello che affermate e sbandierate, non è vero!
Cerchiamo di fare chiarezza per non creare allarmismi.

Al 31/12/2017 residenti in Italia 60.494.000 di cui 5.047.028 stranieri pari a 8,3% della popolazione
Negli altri paesi europei gli stranieri sono:

    Austria               14,3%
    Irlanda               12,4%
    Belgio                11,7%
    Germania           10,5%
    Spagna                9,5%
    Regno Unito         8,6%
    Italia                      8,3%
    Svezia                   7,8%
    Grecia                   7,4%

Le faccio ancora notare che nel 2017 sono arrivate nel nostro paese 119.247 persone -34% del 2016 e 124.000 persone italiane sono emigrate, il 39% di queste sono giovani tra i 18 e i 34 anni.
Come può notare sono partiti dal nostro paese più persone di coloro che sono arrivate.
Per cui l' invasione non c'è stata!
I giovani nel nostro paese vivono nella precarietà, non possono costruirsi un futuro, per cui emigrano alla ricerca di un lavoro, così il paese s'impoverisce ed io non credo, da insegnante e da nonna, che sia una cosa che uno stato, attento e lungimirante,possa accettare e sopportare.
Forma i suoi ragazzi e i giovani, li istruisce, spende dei soldi, fa un investimento su di loro... poi nel momento di raccogliere i frutti lascia che vadano altrove, mettano a disposizione di altri la loro preparazione, il loro sapere e rendano più ricchi i paesi ai quali non sono costati un euro! Ci rifletta!
Fossi in Lei mi occuperei dei nostri giovani, non dei migranti! Non dice sempre, prima gli italiani!!?
Le chiedo, per capire meglio il suo operato, Ella è andata a rendersi conto da vicino, come vivono i migranti che lavorano in Calabria e in Sicilia, come sono trattati, come sono pagati e sfruttati?
Se, no, ci vada !
Ella è stata eletta in Calabria, la mia regione, si occupi di questa regione, che l'ha scelta come suo rappresentante al parlamento, dei suoi problemi che non sono pochi e vada a trovare i migranti, li ascolti, ascolti le loro storie, le loro tragedie, i loro problemi, capirà tante cose di cui non è a conoscenza.
Forse se l'avesse fatto prima, questa conoscenza l'avrebbe aiutata a capire meglio le persone migranti prima di fare proclami contro di essi senza averli incontrati e senza avere chiara, veramente, la problematica migratoria.
Le parole, tutte, hanno un peso e bisogna stare attenti quando parliamo perché il nostro linguaggio può creare in chi ascolta un clima di rifiuto e di intolleranza verso l'altro, diverso da me.
Ci rifletta!!
La saluto e le auguro buon lavoro.

(Venerdì, 22 giugno 2018) 

Teresa Melissari

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                  

La voce di un bimbo
il vento raccoglie
Dal cielo sereno e poi la sparpaglia alle orecchie dei grandi che sanno ascoltare
le cose che dice
per poi raccontarle,
al Cuore che batte
al centro del mondo.
E quando i sorrisi
diventano pianti
le lacrime scendono,
colpiscon la Terra
che immobile trema
vedendo la morte
mischiarsi alla vita.
Indiano, francese, turco o afgano, nero o bianco, importanza non ha… E’ solo una piccola anima viva che ha voglia di Pace, fatta d’amore rispetto ed unione. La chiede in silenzio, col dolce sorriso, tendendo nell'aria l'angelica mano nascosta nel sole del caldo tramonto.

Peppe Sestito

(Mercoledì, 3 agosto 2016)

Giacomo Ulivi, giovane antifascista studente di giurisprudenza, aveva solo 19 anni quando venne fucilato a Modena dai fascisti il 10 novembre 1944. Di lui ci resta pure questa bellissima lettera scritta la notte prima dell'esecuzione e pubblicata dall'Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia.

Cari Amici,

Vi vorrei confessare innanzi tutto, che tre volte ho strappato e scritto questa lettera. L'avevo iniziata con uno sguardo in giro, con un sincero rimpianto per le rovine che ci circondano, ma, nel passare da questo argomento di cui desidero parlarvi, temevo di apparire "falso", di inzuccherare con un patetico preambolo una pillola propagandistica. E questa parola temo come un'offesa immeritata: non si tratta di propaganda ma di un esame che vorrei fare con voi. Invece dobbiamo guardare ed esaminare insieme: che cosa? Noi stessi. Per abituarci a vedere in noi la parte di responsabilità che abbiamo dei nostri mali. Per riconoscere quanto da parte nostra si è fatto, per giungere ove siamo giunti. Non voglio sembrarvi un Savonarola che richiami il flagello. Vorrei che con me conveniste quanto ci sentiamo impreparati, e gravati di recenti errori, e pensassimo al fatto che tutto noi dobbiamo rifare. Tutto dalle case alle ferrovie, dai porti alle centrali elettriche, dall'industria ai campi di grano. Ma soprattutto, vedete, dobbiamo fare noi stessi: è la premessa per tutto il resto. Mi chiederete: perché rifare noi stessi, in che senso? Ecco per esempio, quanti di noi sperano nella fine di questi casi tremendi, per iniziare una laboriosa e quieta vita, dedicata alla famiglia e al lavoro? Benissimo: è un sentimento generale, diffuso e soddisfacente. Ma, credo, lavorare non basterà; e nel desiderio invincibile di "quiete", anche se laboriosa è il segno dell'errore. Perché in questo bisogno di quiete è il tentativo di allontanarsi il più possibile da ogni manifestazione politica. È il tremendo, il più terribile, credetemi, risultato di un'opera di diseducazione ventennale, di diseducazione o di educazione negativa, che martellando per vent'anni da ogni lato è riuscita ad inchiodare in molti di noi dei pregiudizi. Fondamentale quello della "sporcizia" della politica, che mi sembra sia stato ispirato per due vie. Tutti i giorni ci hanno detto che la politica è un lavoro di "specialisti". Duro lavoro, che ha le sue esigenze: e queste esigenze, come ogni giorno si vedeva, erano stranamente consimili a quelle che stanno alla base dell'opera di qualunque ladro e grassatore. Teoria e pratica concorsero a distoglierci e ad allontanarci da ogni attività politica. Comodo, eh? Lasciate fare a chi può e deve; voi lavorate e credete, questo dicevano: e quello che facevano lo vediamo ora, che nella vita politica – se vita politica vuol dire soprattutto diretta partecipazione ai casi nostri – ci siamo stati scaraventati dagli eventi. Qui sta la nostra colpa, io credo: come mai, noi italiani, con tanti secoli di esperienza, usciti da un meraviglioso processo di liberazione, in cui non altri che i nostri nonni dettero prova di qualità uniche in Europa, di un attaccamento alla cosa pubblica, il che vuol dire a sé stessi, senza esempio forse, abbiamo abdicato, lasciato ogni diritto, di fronte a qualche vacua, rimbombante parola? Che cosa abbiamo creduto? Creduto grazie al cielo niente ma in ogni modo ci siamo lasciati strappare di mano tutto, da una minoranza inadeguata, moralmente e intellettualmente.

Questa ci ha depredato, buttato in un'avventura senza fine; e questo è il lato più "roseo", io credo: Il brutto è che le parole e gli atti di quella minoranza hanno intaccato la posizione morale; la mentalità di molti di noi. Credetemi, la "cosa pubblica" è noi stessi: ciò che ci lega ad essa non è un luogo comune, una parola grossa e vuota, come "patriottismo" o amore per la madre in lacrime e in catene vi chiama, visioni barocche, anche se lievito meraviglioso di altre generazioni. Noi siamo falsi con noi stessi, ma non dimentichiamo noi stessi, in una leggerezza tremenda. Al di là di ogni retorica, constatiamo come la cosa pubblica sia noi stessi, la nostra famiglia, il nostro lavoro, il nostro mondo, insomma, che ogni sua sciagura è sciagura nostra, come ora soffriamo per l'estrema miseria in cui il nostro paese è caduto: se lo avessimo sempre tenuto presente, come sarebbe successo questo? L'egoismo – ci dispiace sentire questa parola – è come una doccia fredda, vero?

Sempre tutte le pillole ci sono state propinate col dolce intorno; tutto è stato ammantato di rettorica; Facciamoci forza, impariamo a sentire l'amaro; non dobbiamo celarlo con un paravento ideale, perché nell'ombra si dilati indisturbato. È meglio metterlo alla luce del sole, confessarlo, nudo scoperto, esposto agli sguardi: vedrete che sarà meno prepotente. L'egoismo, dicevamo, l'interesse, ha tanta parte in quello che facciamo: tante volte si confonde con l'ideale. Ma diventa dannoso, condannabile, maledetto, proprio quando è cieco, inintelligente. Soprattutto quando è celato. E, se ragioniamo, il nostro interesse e quello della "cosa pubblica", insomma, finiscono per coincidere.

Appunto per questo dobbiamo curarla direttamente, personalmente, come il nostro lavoro più delicato e importante. Perché da questo dipendono tutti gli altri, le condizioni di tutti gli altri. Se non ci appassionassimo a questo, se noi non lo trattiamo a fondo, specialmente oggi, quella ripresa che speriamo, a cui tenacemente ci attacchiamo, sarà impossibile. Per questo dobbiamo prepararci. Può anche bastare, sapete, che con calma, cominciamo a guardare in noi, e ad esprimere desideri. Come vorremmo vivere, domani? No, non dite di essere scoraggiati, di non volerne più sapere. Pensate che tutto è successo perché non ne avete più voluto sapere! Ricordate, siete uomini, avete il dovere se il vostro istinto non vi spinge ad esercitare il diritto, di badare ai vostri interessi, di badare a quelli dei vostri figli, dei vostri cari. Avete mai pensato che nei prossimi mesi si deciderà il destino del nostro Paese, di noi stessi: quale peso decisivo avrà la nostra volontà se sapremo farla valere; che nostra sarà la responsabilità, se andremo incontro ad un pericolo negativo? Bisognerà fare molto. Provate a chiedevi in giorno, quale stato, per l'idea che avete voi stessi della vera vita, vi pare ben ordinato: per questo informatevi a giudizi obbiettivi. Se credete nella libertà democratica, in cui nei limiti della costituzione, voi stessi potreste indirizzare la cosa pubblica, oppure aspettare una nuova concezione, più egualitaria della vita e della proprietà. E se accettate la prima soluzione, desiderate che la facoltà di eleggere, per esempio sia di tutti, in modo che il corpo eletto sia espressione diretta e genuina del nostro Paese, o restringerla ai più preparati oggi, per giungere ad un progressivo allargamento? Questo ed altro dovete chiedervi. Dovete convincervi, e prepararvi a convincere, non a sopraffare gli altri, ma neppure a rinunciare.

Oggi bisogna combattere contro l'oppressore. Questo è il primo dovere per noi tutti: ma è bene prepararsi a risolvere quei problemi in modo duraturo, e che eviti il risorgere di essi ed il ripetersi di tutto quanto si è abbattuto su di noi.

Termino questa lunga lettera un po' confusa, lo so, ma spontanea, scusandomi ed augurandoci buon lavoro.

Giacomo Ulivi

(Domenica, 17 novembre 2019)

"Il potere e la fortuna sono delitti sotto un potere ingiusto. La povertà in questo caso è una virtù. Dobbiamo combattere il male, cessando di aiutare colui che fa il male. Quando un padre commette ingiustizia, il dovere dei figli è di abbandonare il tetto paterno [...]. In ognuno di questi casi c'è un elemento di sofferenza fisica e morale. La libertà non può essere acquisita che a questo prezzo" (Gandhi, La Giovane India).

(Lunedì, 17 marzo 2014)

Meglio che la terra ritorni

(David Maria Turoldo)


La pace è l'uomo
e quest'uomo è mio fratello
il più povero di tutti i fratelli.

La libertà è l'uomo
e quest'uomo è mio fratello
il più schiavo di tutti i fratelli.

La giustizia è l'uomo
e quest'uomo è mio fratello:
per un'idea non posso uccidere!

Per un sistema non posso uccidere
per nessuno nessuno
fra tutti i sistemi!

L'uomo è più grande del mondo
«e il più piccolo fra voi
sarà ancora più grande nel Regno».

Io devo solo lottare,
sempre, insieme, o da solo, lottare
e farmi anche uccidere.

La pace è lotta per l'uomo,
uno bisogna che redima
anche la morte!

Neppur per la fede posso uccidere,
l'uomo è l'icone di Dio,
Dio che geme nell'uomo.

E se la chiesa non è per l'uomo
non è degna di fede
non può essere chiesa.

E se le politiche non sono per l'uomo
vadano alla malora
tutte queste politiche.

Maledetto l'uomo
che non è per l'uomo,
maledetta ogni idea ogni fede:

ogni madre non generi più,
il maschio sia morso dal serpe
quando vuol concepire.

Siano distrutte queste città
quando ogni ventre di donna
è un cimitero:
civiltà «cristiana»
che porta la morte
nel proprio ventre!

L'uomo non conta più nulla:
o stirpe di rapaci,
il dio della morte ci domina.

L'uomo è fucilato a Santiago
abbrutito nelle gabbie di Saigon
torturato a Belo Horizonte
schiacciato come un verme a Mozambico
e il feddayn è sepolto
nella tomba di sabbia
il negro è chiuso bestiame
nella «locations» a Johannesburg,
oppure urla a milioni di sete
nello squallido Volta.

Ma il rame vale più dell'uomo
il petrolio vale più dell'uomo
il prestigio la potenza il sistema
valgono più dell'uomo.

Meglio che la terra ritorni
deserta, meglio
che i fiumi scorrano
liberi nel verde
intatto del mondo,
e Dio si abbia la lode
dai volatili della foresta!

Ma che sia l'aria
come al mattino del mondo
e caste siano ancora le acque
e al cielo non salga più
una voce d'uomo

né la terra più oda
questo frastuono di parole
quando la ragione è della forza
e a reggere il mondo
sono solo le armi.

L'uomo ha fallito
l'uomo è sempre ucciso
crocefisso da sempre.

Cristo, o ragione
di questo esistere,
folle bellezza...

(Venerdì, 14 marzo 2014)

In questo tempo doloroso nel quale piangiamo i nostri fratelli che hanno perso la vita nel mare di Lampedusa, vogliamo proporre la lettura del documento profetico con il quale la nostra Diocesi, in collaborazione con la Commissione Giiustizia, Pace e Salvaguardia del creato, lanciò l'iniziativa, promossa da Mons. Antonio Cantisani, per la raccolta firme contro la Bossi-Fini. A più di 11 anni di distanza la sua attualità ci chiama alla riflessione e all'impegno perchè maturino tempi nuovi di speranza, accoglienza, solidarietà e giustizia.



Manifesto della Chiesa di Catanzaro-Squillace *

Nessun uomo è “clandestino”!

-dalla parte dei più deboli-


Sentiamo

nel nostro essere Chiesa di Catanzaro-Squillace di non poter rinunciare a porre la persona umana al centro del nostro pensare e del nostro agire.

Riteniamo

che in ogni intervento delle istituzioni non si possa prescindere da atteggiamenti di carità e da principi di solidarietà che animano il messaggio evangelico e sono, tra l'altro, presenti nella Costituzione italiana.

 

Noi cristiani, impegnandoci nell'aiuto e nella difesa dei più deboli per la costruzione di un mondo di pace e giustizia, fondato sul riconoscimento e l'accoglienza della diversità, nella consapevolezza che l'altro è dentro di noi,

Rifiutiamo

la logica predominante dell'emergenza e dell'insicurezza sociale che, volendo ottenere un consenso politico basato sulle paure e sugli egoismi dell'animo umano, impone una legislazione che viola i principi di solidarietà e i diritti umani.

Esprimiamo

il nostro forte dissenso rispetto ad alcuni percorsi legislativi intrapresi.

 

---------------------

 

“Poi Iddio disse: Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza...” (Gn 1,26)

“E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi...” (Gv 1,14-15)

Dio, il fautore della creazione dell’uomo che si rinnova ogni momento, si è incarnato nella storia ad immagine della sua creatura di cui è talmente innamorato da prenderne le sembianze.

Se Dio stesso ha elevato l’uomo a massima dignità eleggendolo a tempio del suo Spirito, di conseguenza anche la Chiesa e la cultura cristiana hanno riconosciuto da sempre la sacralità della persona e dei valori che essa rappresenta.

Sentiamo, quindi, anche noi, nel nostro essere Chiesa di Catanzaro-Squillace, di non poter rinunciare a porre la persona umana al centro del nostro pensare e del nostro agire, quale parametro fondamentale delle nostre scelte di vita.

La stessa cultura laica, del resto, ha maturato nel tempo un’attenzione specifica per la dignità della persona intesa come dignità del singolo uomo, riconoscendovi un imprescindibile valore di riferimento della propria caratterizzazione socio-politica.

Anche la Costituzione della Repubblica Italiana, infine, esordisce riconoscendo l’inviolabilità dei diritti umani fondamentali (art. 2) e si impegna a favorire il pieno sviluppo della persona umana (art. 3).

Ieri pomeriggio, nell'aula Sancti Petri di Catanzaro, nell'ambito dell'incontro-dibattito "In nome del popolo inquinato: l'informazione al servizio della verità", organizzato dall'Ufficio comunicazioni sociali e dalla Commissione giustizia, pace e salvaguardia del creato della Diocesi di Catanzaro-Squillace, è stata ricordata la figura di Ilaria Alpi, la giornalista del Tg3 uccisa a Mogadiscio il 20 marzo 1994, insieme al suo cineoperatore Miran Hrovatin. A raccontare la storia di Ilaria è stato un altro giornalista, Luciano Scalettari di "Famiglia Cristiana" che, pur di ricercare e far venire alla luce i motivi dell'omicidio, ha affrontato due diverse pericolose spedizioni in Somalia, ripercorrendone i passi. Luciano Scalettari ha fatto anche parte della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.

E' emersa la storia umana e professionale di una persona innamorata della verità, di una autentica testimone che, pur rendendosi conto del rischio che stava correndo a causa delle sue scoperte sui traffici di rifiuti e di armi, non si è tirata indietro e ha pagato, per la sua passione, con la vita.

Nel corso della serata sono state pure ricordate altre figure di giornalisti-martiri, come Giancarlo Siani e Giuseppe Fava.

Luciano Scalettari ha, anche, annunziato la prossima uscita di un libro che aggiungerà ulteriori tasselli per la comprensione di una vicenda che ancora rimane, come altre del dopoguerra, una pagina buia della nostra storia patria.

Chi vuole approfondire, può farlo su www.ilariaalpi.it

(Martedì, 26 gennaio 2010)

Ieri l’auditorium “Sancti Petri” del Palazzo Vescovile di Catanzaro ha ospitato Padre Enzo Bianchi, Priore della Comunità Monastica di Bose, che è intervenuto nell’ambito della conferenza “La testimonianza cristiana come via privilegiata per l’ecumenismo”. Sono state parole illuminanti, parole che interrogano e che danno senso, parole che ci hanno riportato al centro della nostra fede: Gesù.

Ci sono ancora tante cose che dividono i cristiani, non ultime le questioni relative all’etica e ai comportamenti individuali, il percorso dell’ecumenismo è difficile e pieno di insidie. Secondo Padre Enzo, è un cammino che richiede infinita pazienza e che si deve nutrire di piccoli gesti di amore, di comprensione, di accoglienza e di condivisione, ma tutti i cristiani possono e devono ritrovare la loro unità comportandosi come i raggi della bicicletta che non si rincorrono tra loro, ma tutti convergono verso il centro della ruota, appunto Gesù Cristo.

Ma cosa significa essere cristiani? La risposta che ci ha offerto il Priore di Bose può destare anche “scandalo” (ma la parola di Gesù non è a sua volta “scandalosa”?), può far storcere il naso a qualcuno, ma, se ci riflettiamo bene, nella sua radicalità, è l’unica possibile: essere cristiani non significa aderire ad una religione, significa più “semplicemente” aderire a Cristo, assumere Cristo come unico punto di riferimento della propria vita, amarLo incondizionatamente e senza alcuna riserva. Solo così la fede è autentica, altrimenti rischiamo di vivere una religione senza fede, o peggio una religione che ostacola la fede. La fede stessa, quella vera, quella realmente radicata in Gesù Cristo, preconizza anzi “l’uscita dalla religione”.

E’ stato questo il nucleo del messaggio che Padre Enzo Bianchi ha voluto lasciare ai presenti nell’auditorium dell’Arcivescovado. Il cristiano, però, nella visione di Padre Enzo, non solo deve amare Gesù e cercare di imitarlo. Nel fare ciò deve essere “differente”, capace, mediante la testimonianza della sua vita, di essere “sale della terra”. La differenza cristiana significa non giocarsi la fede “al ribasso” accontentandosi di ciò che è “normale”,  ma scegliere di essere “altro” rispetto a stili di vita ormai omologati. Altrimenti, senza questa opzione, il sale perde tutto il suo “sapore”.

Su questo percorso si innesta, nella visione del Priore, l’amore verso questo tempo che il cristiano è chiamato a vivere e questa terra che il Signore gli ha donato, non ne esiste una migliore, ne una più bella. Qui e ora è interpellata la sua fede e non è coerente con il suo battesimo rifugiarsi in nostalgie dei “bei tempi” che furono, perché questi “bei tempi” non sono mai esistiti. Ogni tempo è un tempo difficile, pieno di contraddizioni, dove il male e le tentazioni sono sempre in agguato e dove il cristiano deve testimoniare con coraggio la sua fede, il suo radicamento a Cristo.

Al termine dell’incontro, è rimasta incombente la domanda di San Paolo alla comunità di Corinto che il Priore di Bose ha riformulato ai presenti: “Esaminate voi stessi per vedere se siete nella fede”. E’ un interrogativo aperto che non ci può lasciare tranquilli, ma che, al contrario, ci dona un sano senso di inquietudine.

(Giovedì, 29 ottobre 2009)

            A pochi giorni di distanza dal diciassettesimo anniversario della morte della giovane siciliana Rita Atria, un nuovo gesto di violenza ci richiama a non far venire meno il nostro impegno ecclesiale a fianco dei Testimoni di Giustizia.

La nostra Chiesa diocesana appena poche settimane fa si interrogava sulla testimonianza quale strumento privilegiato di evangelizzazione.

E’ sommamente importante riconoscere sempre l’alto valore etico della scelta di coloro i quali non esitano a pagare un prezzo molto elevato –spesso insopportabile- pur di non accettare il ricatto mafioso. Ancora più importante è che accanto a quella scelta si ritrovi, compatta, tutta la società civile, a cominciare dai suoi più alti livelli istituzionali, senza trascurare il ruolo imprescindibile di ogni singolo cittadino.

Ciascuno di noi è un potenziale Testimone di Giustizia. Ciascuno di noi deve saper testimoniare la sua prossimità a coloro che Testimoni di Giustizia lo sono qui ed oggi.

Il nostro pensiero va quindi a Pino Masciari, destinatario del messaggio intimidatorio delle ultime ore. Ma va pure alla giovane donna che da giorni protesta dinnanzi alla Prefettura di Crotone a causa dei molti disagi cui deve far fronte a causa della sua condizione: disagi che non sempre e non solo sono dovuti all’arroganza del potere mafioso e per i quali è dunque urgente ed indifferibile un adeguato intervento delle Istituzioni a ciò preposte.

Il nostro pensiero va alla “siciliana ribelle” Rita Atria, il cui prematuro sacrificio ci richiama alla necessaria corresponsabilità del contesto sociale ed istituzionale.

Il nostro pensiero va a tutti coloro che non conosciamo e di cui ignoriamo le storie.

Da allora molte cose sono cambiate e molti Testimoni di Giustizia non sono più soli, nemmeno di fronte ai rigurgiti di violenza. Ma molte altre devono ancora migliorare perché non si perda memoria di nessuno, perché ciascuno ci sia caro e presente, perché la sua storia sia anche la nostra storia.

Insieme, così, testimoni di una Giustizia saldamente resistente a qualunque minaccia o ricatto.

(Catanzaro, 22 luglio 2009)

 

Commissione per la Promozione della Giustizia, la Pace e la Salvaguardia del Creato

Arcidiocesi di Catanzaro-Squillace

 

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Roberto Esposito

I volti dell'avversario - L'enigma della lotta con l'Angelo

Genesi 32,23-33 racconta di una  lotta tra Giacobbe, uno dei patriarchi di Israele, ed un misterioso personaggio al guado dello Iabbòq. Chi è costui? Un altro uomo, un dio, un angelo, un demone, l'ombra di Giacobbe stesso. L'autore compie un complesso percorso, anche con l'aiuto della psicanalisi, dell'arte e di altri scritti che in qualche modo richiamano la vicenda o la ricordano, per tentare di spiegare ciò che è successo. Ma la spiegazione, come per tutte le altre storie della Bibbia, va trovata nel proprio cuore attraverso i propri occhi e la propria sensibilità. 

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Partendo da un excursus sui "4 Sola" della Riforma di Lutero, l'autrice ci conduce per mano ed in modo semplice a comprendere il significato delle varie diramazioni che la Riforma ha poi preso. L'agevole volume si conclude con alcune considerazioni sullo stato delle chiese protestanti in Italia, ma soprattutto sul significato autentico e attualizzato dello "scisma" della chiesa d'occidente del XVI secolo. (17 agosto 2023) 

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