Giacomo Ulivi, giovane antifascista studente di giurisprudenza, aveva solo 19 anni quando venne fucilato a Modena dai fascisti il 10 novembre 1944. Di lui ci resta pure questa bellissima lettera scritta la notte prima dell'esecuzione e pubblicata dall'Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia.

Cari Amici,

Vi vorrei confessare innanzi tutto, che tre volte ho strappato e scritto questa lettera. L'avevo iniziata con uno sguardo in giro, con un sincero rimpianto per le rovine che ci circondano, ma, nel passare da questo argomento di cui desidero parlarvi, temevo di apparire "falso", di inzuccherare con un patetico preambolo una pillola propagandistica. E questa parola temo come un'offesa immeritata: non si tratta di propaganda ma di un esame che vorrei fare con voi. Invece dobbiamo guardare ed esaminare insieme: che cosa? Noi stessi. Per abituarci a vedere in noi la parte di responsabilità che abbiamo dei nostri mali. Per riconoscere quanto da parte nostra si è fatto, per giungere ove siamo giunti. Non voglio sembrarvi un Savonarola che richiami il flagello. Vorrei che con me conveniste quanto ci sentiamo impreparati, e gravati di recenti errori, e pensassimo al fatto che tutto noi dobbiamo rifare. Tutto dalle case alle ferrovie, dai porti alle centrali elettriche, dall'industria ai campi di grano. Ma soprattutto, vedete, dobbiamo fare noi stessi: è la premessa per tutto il resto. Mi chiederete: perché rifare noi stessi, in che senso? Ecco per esempio, quanti di noi sperano nella fine di questi casi tremendi, per iniziare una laboriosa e quieta vita, dedicata alla famiglia e al lavoro? Benissimo: è un sentimento generale, diffuso e soddisfacente. Ma, credo, lavorare non basterà; e nel desiderio invincibile di "quiete", anche se laboriosa è il segno dell'errore. Perché in questo bisogno di quiete è il tentativo di allontanarsi il più possibile da ogni manifestazione politica. È il tremendo, il più terribile, credetemi, risultato di un'opera di diseducazione ventennale, di diseducazione o di educazione negativa, che martellando per vent'anni da ogni lato è riuscita ad inchiodare in molti di noi dei pregiudizi. Fondamentale quello della "sporcizia" della politica, che mi sembra sia stato ispirato per due vie. Tutti i giorni ci hanno detto che la politica è un lavoro di "specialisti". Duro lavoro, che ha le sue esigenze: e queste esigenze, come ogni giorno si vedeva, erano stranamente consimili a quelle che stanno alla base dell'opera di qualunque ladro e grassatore. Teoria e pratica concorsero a distoglierci e ad allontanarci da ogni attività politica. Comodo, eh? Lasciate fare a chi può e deve; voi lavorate e credete, questo dicevano: e quello che facevano lo vediamo ora, che nella vita politica – se vita politica vuol dire soprattutto diretta partecipazione ai casi nostri – ci siamo stati scaraventati dagli eventi. Qui sta la nostra colpa, io credo: come mai, noi italiani, con tanti secoli di esperienza, usciti da un meraviglioso processo di liberazione, in cui non altri che i nostri nonni dettero prova di qualità uniche in Europa, di un attaccamento alla cosa pubblica, il che vuol dire a sé stessi, senza esempio forse, abbiamo abdicato, lasciato ogni diritto, di fronte a qualche vacua, rimbombante parola? Che cosa abbiamo creduto? Creduto grazie al cielo niente ma in ogni modo ci siamo lasciati strappare di mano tutto, da una minoranza inadeguata, moralmente e intellettualmente.

Questa ci ha depredato, buttato in un'avventura senza fine; e questo è il lato più "roseo", io credo: Il brutto è che le parole e gli atti di quella minoranza hanno intaccato la posizione morale; la mentalità di molti di noi. Credetemi, la "cosa pubblica" è noi stessi: ciò che ci lega ad essa non è un luogo comune, una parola grossa e vuota, come "patriottismo" o amore per la madre in lacrime e in catene vi chiama, visioni barocche, anche se lievito meraviglioso di altre generazioni. Noi siamo falsi con noi stessi, ma non dimentichiamo noi stessi, in una leggerezza tremenda. Al di là di ogni retorica, constatiamo come la cosa pubblica sia noi stessi, la nostra famiglia, il nostro lavoro, il nostro mondo, insomma, che ogni sua sciagura è sciagura nostra, come ora soffriamo per l'estrema miseria in cui il nostro paese è caduto: se lo avessimo sempre tenuto presente, come sarebbe successo questo? L'egoismo – ci dispiace sentire questa parola – è come una doccia fredda, vero?

Sempre tutte le pillole ci sono state propinate col dolce intorno; tutto è stato ammantato di rettorica; Facciamoci forza, impariamo a sentire l'amaro; non dobbiamo celarlo con un paravento ideale, perché nell'ombra si dilati indisturbato. È meglio metterlo alla luce del sole, confessarlo, nudo scoperto, esposto agli sguardi: vedrete che sarà meno prepotente. L'egoismo, dicevamo, l'interesse, ha tanta parte in quello che facciamo: tante volte si confonde con l'ideale. Ma diventa dannoso, condannabile, maledetto, proprio quando è cieco, inintelligente. Soprattutto quando è celato. E, se ragioniamo, il nostro interesse e quello della "cosa pubblica", insomma, finiscono per coincidere.

Appunto per questo dobbiamo curarla direttamente, personalmente, come il nostro lavoro più delicato e importante. Perché da questo dipendono tutti gli altri, le condizioni di tutti gli altri. Se non ci appassionassimo a questo, se noi non lo trattiamo a fondo, specialmente oggi, quella ripresa che speriamo, a cui tenacemente ci attacchiamo, sarà impossibile. Per questo dobbiamo prepararci. Può anche bastare, sapete, che con calma, cominciamo a guardare in noi, e ad esprimere desideri. Come vorremmo vivere, domani? No, non dite di essere scoraggiati, di non volerne più sapere. Pensate che tutto è successo perché non ne avete più voluto sapere! Ricordate, siete uomini, avete il dovere se il vostro istinto non vi spinge ad esercitare il diritto, di badare ai vostri interessi, di badare a quelli dei vostri figli, dei vostri cari. Avete mai pensato che nei prossimi mesi si deciderà il destino del nostro Paese, di noi stessi: quale peso decisivo avrà la nostra volontà se sapremo farla valere; che nostra sarà la responsabilità, se andremo incontro ad un pericolo negativo? Bisognerà fare molto. Provate a chiedevi in giorno, quale stato, per l'idea che avete voi stessi della vera vita, vi pare ben ordinato: per questo informatevi a giudizi obbiettivi. Se credete nella libertà democratica, in cui nei limiti della costituzione, voi stessi potreste indirizzare la cosa pubblica, oppure aspettare una nuova concezione, più egualitaria della vita e della proprietà. E se accettate la prima soluzione, desiderate che la facoltà di eleggere, per esempio sia di tutti, in modo che il corpo eletto sia espressione diretta e genuina del nostro Paese, o restringerla ai più preparati oggi, per giungere ad un progressivo allargamento? Questo ed altro dovete chiedervi. Dovete convincervi, e prepararvi a convincere, non a sopraffare gli altri, ma neppure a rinunciare.

Oggi bisogna combattere contro l'oppressore. Questo è il primo dovere per noi tutti: ma è bene prepararsi a risolvere quei problemi in modo duraturo, e che eviti il risorgere di essi ed il ripetersi di tutto quanto si è abbattuto su di noi.

Termino questa lunga lettera un po' confusa, lo so, ma spontanea, scusandomi ed augurandoci buon lavoro.

Giacomo Ulivi

(Domenica, 17 novembre 2019)

"Il potere e la fortuna sono delitti sotto un potere ingiusto. La povertà in questo caso è una virtù. Dobbiamo combattere il male, cessando di aiutare colui che fa il male. Quando un padre commette ingiustizia, il dovere dei figli è di abbandonare il tetto paterno [...]. In ognuno di questi casi c'è un elemento di sofferenza fisica e morale. La libertà non può essere acquisita che a questo prezzo" (Gandhi, La Giovane India).

(Lunedì, 17 marzo 2014)

Meglio che la terra ritorni

(David Maria Turoldo)


La pace è l'uomo
e quest'uomo è mio fratello
il più povero di tutti i fratelli.

La libertà è l'uomo
e quest'uomo è mio fratello
il più schiavo di tutti i fratelli.

La giustizia è l'uomo
e quest'uomo è mio fratello:
per un'idea non posso uccidere!

Per un sistema non posso uccidere
per nessuno nessuno
fra tutti i sistemi!

L'uomo è più grande del mondo
«e il più piccolo fra voi
sarà ancora più grande nel Regno».

Io devo solo lottare,
sempre, insieme, o da solo, lottare
e farmi anche uccidere.

La pace è lotta per l'uomo,
uno bisogna che redima
anche la morte!

Neppur per la fede posso uccidere,
l'uomo è l'icone di Dio,
Dio che geme nell'uomo.

E se la chiesa non è per l'uomo
non è degna di fede
non può essere chiesa.

E se le politiche non sono per l'uomo
vadano alla malora
tutte queste politiche.

Maledetto l'uomo
che non è per l'uomo,
maledetta ogni idea ogni fede:

ogni madre non generi più,
il maschio sia morso dal serpe
quando vuol concepire.

Siano distrutte queste città
quando ogni ventre di donna
è un cimitero:
civiltà «cristiana»
che porta la morte
nel proprio ventre!

L'uomo non conta più nulla:
o stirpe di rapaci,
il dio della morte ci domina.

L'uomo è fucilato a Santiago
abbrutito nelle gabbie di Saigon
torturato a Belo Horizonte
schiacciato come un verme a Mozambico
e il feddayn è sepolto
nella tomba di sabbia
il negro è chiuso bestiame
nella «locations» a Johannesburg,
oppure urla a milioni di sete
nello squallido Volta.

Ma il rame vale più dell'uomo
il petrolio vale più dell'uomo
il prestigio la potenza il sistema
valgono più dell'uomo.

Meglio che la terra ritorni
deserta, meglio
che i fiumi scorrano
liberi nel verde
intatto del mondo,
e Dio si abbia la lode
dai volatili della foresta!

Ma che sia l'aria
come al mattino del mondo
e caste siano ancora le acque
e al cielo non salga più
una voce d'uomo

né la terra più oda
questo frastuono di parole
quando la ragione è della forza
e a reggere il mondo
sono solo le armi.

L'uomo ha fallito
l'uomo è sempre ucciso
crocefisso da sempre.

Cristo, o ragione
di questo esistere,
folle bellezza...

(Venerdì, 14 marzo 2014)

In questo tempo doloroso nel quale piangiamo i nostri fratelli che hanno perso la vita nel mare di Lampedusa, vogliamo proporre la lettura del documento profetico con il quale la nostra Diocesi, in collaborazione con la Commissione Giiustizia, Pace e Salvaguardia del creato, lanciò l'iniziativa, promossa da Mons. Antonio Cantisani, per la raccolta firme contro la Bossi-Fini. A più di 11 anni di distanza la sua attualità ci chiama alla riflessione e all'impegno perchè maturino tempi nuovi di speranza, accoglienza, solidarietà e giustizia.



Manifesto della Chiesa di Catanzaro-Squillace *

Nessun uomo è “clandestino”!

-dalla parte dei più deboli-


Sentiamo

nel nostro essere Chiesa di Catanzaro-Squillace di non poter rinunciare a porre la persona umana al centro del nostro pensare e del nostro agire.

Riteniamo

che in ogni intervento delle istituzioni non si possa prescindere da atteggiamenti di carità e da principi di solidarietà che animano il messaggio evangelico e sono, tra l'altro, presenti nella Costituzione italiana.

 

Noi cristiani, impegnandoci nell'aiuto e nella difesa dei più deboli per la costruzione di un mondo di pace e giustizia, fondato sul riconoscimento e l'accoglienza della diversità, nella consapevolezza che l'altro è dentro di noi,

Rifiutiamo

la logica predominante dell'emergenza e dell'insicurezza sociale che, volendo ottenere un consenso politico basato sulle paure e sugli egoismi dell'animo umano, impone una legislazione che viola i principi di solidarietà e i diritti umani.

Esprimiamo

il nostro forte dissenso rispetto ad alcuni percorsi legislativi intrapresi.

 

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“Poi Iddio disse: Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza...” (Gn 1,26)

“E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi...” (Gv 1,14-15)

Dio, il fautore della creazione dell’uomo che si rinnova ogni momento, si è incarnato nella storia ad immagine della sua creatura di cui è talmente innamorato da prenderne le sembianze.

Se Dio stesso ha elevato l’uomo a massima dignità eleggendolo a tempio del suo Spirito, di conseguenza anche la Chiesa e la cultura cristiana hanno riconosciuto da sempre la sacralità della persona e dei valori che essa rappresenta.

Sentiamo, quindi, anche noi, nel nostro essere Chiesa di Catanzaro-Squillace, di non poter rinunciare a porre la persona umana al centro del nostro pensare e del nostro agire, quale parametro fondamentale delle nostre scelte di vita.

La stessa cultura laica, del resto, ha maturato nel tempo un’attenzione specifica per la dignità della persona intesa come dignità del singolo uomo, riconoscendovi un imprescindibile valore di riferimento della propria caratterizzazione socio-politica.

Anche la Costituzione della Repubblica Italiana, infine, esordisce riconoscendo l’inviolabilità dei diritti umani fondamentali (art. 2) e si impegna a favorire il pieno sviluppo della persona umana (art. 3).

Ieri pomeriggio, nell'aula Sancti Petri di Catanzaro, nell'ambito dell'incontro-dibattito "In nome del popolo inquinato: l'informazione al servizio della verità", organizzato dall'Ufficio comunicazioni sociali e dalla Commissione giustizia, pace e salvaguardia del creato della Diocesi di Catanzaro-Squillace, è stata ricordata la figura di Ilaria Alpi, la giornalista del Tg3 uccisa a Mogadiscio il 20 marzo 1994, insieme al suo cineoperatore Miran Hrovatin. A raccontare la storia di Ilaria è stato un altro giornalista, Luciano Scalettari di "Famiglia Cristiana" che, pur di ricercare e far venire alla luce i motivi dell'omicidio, ha affrontato due diverse pericolose spedizioni in Somalia, ripercorrendone i passi. Luciano Scalettari ha fatto anche parte della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.

E' emersa la storia umana e professionale di una persona innamorata della verità, di una autentica testimone che, pur rendendosi conto del rischio che stava correndo a causa delle sue scoperte sui traffici di rifiuti e di armi, non si è tirata indietro e ha pagato, per la sua passione, con la vita.

Nel corso della serata sono state pure ricordate altre figure di giornalisti-martiri, come Giancarlo Siani e Giuseppe Fava.

Luciano Scalettari ha, anche, annunziato la prossima uscita di un libro che aggiungerà ulteriori tasselli per la comprensione di una vicenda che ancora rimane, come altre del dopoguerra, una pagina buia della nostra storia patria.

Chi vuole approfondire, può farlo su www.ilariaalpi.it

(Martedì, 26 gennaio 2010)

Ieri l’auditorium “Sancti Petri” del Palazzo Vescovile di Catanzaro ha ospitato Padre Enzo Bianchi, Priore della Comunità Monastica di Bose, che è intervenuto nell’ambito della conferenza “La testimonianza cristiana come via privilegiata per l’ecumenismo”. Sono state parole illuminanti, parole che interrogano e che danno senso, parole che ci hanno riportato al centro della nostra fede: Gesù.

Ci sono ancora tante cose che dividono i cristiani, non ultime le questioni relative all’etica e ai comportamenti individuali, il percorso dell’ecumenismo è difficile e pieno di insidie. Secondo Padre Enzo, è un cammino che richiede infinita pazienza e che si deve nutrire di piccoli gesti di amore, di comprensione, di accoglienza e di condivisione, ma tutti i cristiani possono e devono ritrovare la loro unità comportandosi come i raggi della bicicletta che non si rincorrono tra loro, ma tutti convergono verso il centro della ruota, appunto Gesù Cristo.

Ma cosa significa essere cristiani? La risposta che ci ha offerto il Priore di Bose può destare anche “scandalo” (ma la parola di Gesù non è a sua volta “scandalosa”?), può far storcere il naso a qualcuno, ma, se ci riflettiamo bene, nella sua radicalità, è l’unica possibile: essere cristiani non significa aderire ad una religione, significa più “semplicemente” aderire a Cristo, assumere Cristo come unico punto di riferimento della propria vita, amarLo incondizionatamente e senza alcuna riserva. Solo così la fede è autentica, altrimenti rischiamo di vivere una religione senza fede, o peggio una religione che ostacola la fede. La fede stessa, quella vera, quella realmente radicata in Gesù Cristo, preconizza anzi “l’uscita dalla religione”.

E’ stato questo il nucleo del messaggio che Padre Enzo Bianchi ha voluto lasciare ai presenti nell’auditorium dell’Arcivescovado. Il cristiano, però, nella visione di Padre Enzo, non solo deve amare Gesù e cercare di imitarlo. Nel fare ciò deve essere “differente”, capace, mediante la testimonianza della sua vita, di essere “sale della terra”. La differenza cristiana significa non giocarsi la fede “al ribasso” accontentandosi di ciò che è “normale”,  ma scegliere di essere “altro” rispetto a stili di vita ormai omologati. Altrimenti, senza questa opzione, il sale perde tutto il suo “sapore”.

Su questo percorso si innesta, nella visione del Priore, l’amore verso questo tempo che il cristiano è chiamato a vivere e questa terra che il Signore gli ha donato, non ne esiste una migliore, ne una più bella. Qui e ora è interpellata la sua fede e non è coerente con il suo battesimo rifugiarsi in nostalgie dei “bei tempi” che furono, perché questi “bei tempi” non sono mai esistiti. Ogni tempo è un tempo difficile, pieno di contraddizioni, dove il male e le tentazioni sono sempre in agguato e dove il cristiano deve testimoniare con coraggio la sua fede, il suo radicamento a Cristo.

Al termine dell’incontro, è rimasta incombente la domanda di San Paolo alla comunità di Corinto che il Priore di Bose ha riformulato ai presenti: “Esaminate voi stessi per vedere se siete nella fede”. E’ un interrogativo aperto che non ci può lasciare tranquilli, ma che, al contrario, ci dona un sano senso di inquietudine.

(Giovedì, 29 ottobre 2009)

            A pochi giorni di distanza dal diciassettesimo anniversario della morte della giovane siciliana Rita Atria, un nuovo gesto di violenza ci richiama a non far venire meno il nostro impegno ecclesiale a fianco dei Testimoni di Giustizia.

La nostra Chiesa diocesana appena poche settimane fa si interrogava sulla testimonianza quale strumento privilegiato di evangelizzazione.

E’ sommamente importante riconoscere sempre l’alto valore etico della scelta di coloro i quali non esitano a pagare un prezzo molto elevato –spesso insopportabile- pur di non accettare il ricatto mafioso. Ancora più importante è che accanto a quella scelta si ritrovi, compatta, tutta la società civile, a cominciare dai suoi più alti livelli istituzionali, senza trascurare il ruolo imprescindibile di ogni singolo cittadino.

Ciascuno di noi è un potenziale Testimone di Giustizia. Ciascuno di noi deve saper testimoniare la sua prossimità a coloro che Testimoni di Giustizia lo sono qui ed oggi.

Il nostro pensiero va quindi a Pino Masciari, destinatario del messaggio intimidatorio delle ultime ore. Ma va pure alla giovane donna che da giorni protesta dinnanzi alla Prefettura di Crotone a causa dei molti disagi cui deve far fronte a causa della sua condizione: disagi che non sempre e non solo sono dovuti all’arroganza del potere mafioso e per i quali è dunque urgente ed indifferibile un adeguato intervento delle Istituzioni a ciò preposte.

Il nostro pensiero va alla “siciliana ribelle” Rita Atria, il cui prematuro sacrificio ci richiama alla necessaria corresponsabilità del contesto sociale ed istituzionale.

Il nostro pensiero va a tutti coloro che non conosciamo e di cui ignoriamo le storie.

Da allora molte cose sono cambiate e molti Testimoni di Giustizia non sono più soli, nemmeno di fronte ai rigurgiti di violenza. Ma molte altre devono ancora migliorare perché non si perda memoria di nessuno, perché ciascuno ci sia caro e presente, perché la sua storia sia anche la nostra storia.

Insieme, così, testimoni di una Giustizia saldamente resistente a qualunque minaccia o ricatto.

(Catanzaro, 22 luglio 2009)

 

Commissione per la Promozione della Giustizia, la Pace e la Salvaguardia del Creato

Arcidiocesi di Catanzaro-Squillace

 

Padre Luciano Verdoscia è un missionario comboniano che lavora tra i bambini di una baraccopoli del Cairo dove grandi e piccoli, in particolar modo donne e bimbi, per sopravvivere sono costretti a raccogliere e selezionare la spazzatura. Nel degrado generale, l'opera di padre Luciano è tesa a ridare speranza ai bambini poveri del quartiere, senza distinzione di religione, cultura e appartenenza etnica, sostenendo la loro formazione scolastica e la loro salute mediante un aiuto pedagogico, l'assistenza sanitaria di base e la garanzia di un alimentazione adeguata.

Abbiamo ricevuto da padre Luciano una riflessione-testimonianza sul Natale nel quartiere di Eizbet el Nakhl, che pubblichiamo di seguito.

(Giovedì, 8 gennaio 2009)

Cairo, Natale 2008

 Carissimi,

Oggi la puzza ad Eizbet el Nakhl è particolarmente forte, acida, penetrante sino alla nausea. Anche le nostre operatrici che pure vengono dallo stesso quartiere, mostrano segni d’insofferenza. Non sono solo gli odori che si sviluppano dalla decomposizione dei rifiuti organici a rendere il fetore insopportabile ma anche le fogne, che ormai da varie settimane inondano la strada che conduce al nostro Centro dei ragazzi. Anche all’interno della palazzina le acque fognarie traboccano dal pozzetto situato sotto la stretta rampa di scala che va ai piani ed alle classi. Abbiamo più volte chiamato degli idraulici, che qui, in questo quartiere, si immergono senza problemi a piedi nudi nel putridume degli scarichi cercando con le mani e attrezzi da sturo di tirar fuori ciò che potrebbe ostruire il tubo, ma il problema è l’insufficiente capacità della rete di gestire il deflusso delle acque sporche, piene di tutto.

Una maestra mi suggerisce di sospendere il programma per qualche giorno perchè è diventato difficile accedere al Centro. Bisogna camminare su pietre appositamente messe, cercando di non scivolare nella melma. Dopo essermi consultato con alcuni responsabili abbiamo pensato di continuare. E’ un po’ più difficile del solito ma qui un problema in più o uno in meno non fanno poi tanta differenza. Il disastro ambientale è tale che occorreranno lunghi anni prima di poter vedere delle incisive modifiche.

All’interno della modesta struttura cerchiamo comunque di far sì che le piccole aule in cui si raccolgono i nostri ragazzi siano tenute pulite. Continuiamo a spiegare la necessità dell’igiene e dell’ordine come sistema di vita, e speriamo vivamente che nel tempo incideremo un pochino nel rendere i nostri bambini, gli adulti di domani, capaci di potere meglio gestire gli spazi di vita.

Qui, ai confini del mondo, non sono tante le persone che vengono a trovarci. Non è facile arrivare in questo angolo della Terra e tanto meno pensare di poter svolgere un po’ di volontariato, ma, nonostante tutto, sono sempre sorpreso da coloro che hanno il coraggio e la costanza di dedicare qualche ora la settimana ai bambini del nostro povero mondo.

Di tribolazioni e difficoltà, per essere franchi, ne abbiamo attraversate tante, ma non saremmo grati a Dio se non vi comunicassimo che quest’esperienza ci riempie di gioia.  É gioia vera quella che riesce a trasformare tutto: la puzza in profumo di cielo e, un mondo da cui i più vorrebbero scappare in luogo desiderato per incontrare uomini, donne e bambini, necessitosi ma amati da Dio di un amore eterno.

Nel pensare al natale mi sono chiesto cosa significa per me attendere il Signore, o mettersi in cammino guidato dalle stelle come i magi, o ricevere l’annuncio degli angeli come i pastori. Ricordo con rinnovato stupore le scene del presepe, che da bambino con mio padre ed i miei fratelli, d’anno in anno si componeva: ‘…ecco qui i pastori con le pecore; i magi qui, invece, in marcia, lontani dalla grotta, in fondo sulle montagne, per giungere da Gesù il 6 Gennaio.

La realtà mi sollecita a guardare davanti sul nostro affollato e disastrato quartiere. D’improvviso, mi viene a mente che Gesù oggi, come ieri, nasce per noi, qui, in una stalla. Sapete.... che il nome dato al quartiere dei raccoglitori di immondizie è ‘Zaraib’ che significa ‘stalle’? Beh è proprio così a motivo degli asini, delle capre e dei maiali che nella zona in cui operiamo vengono allevati e che, insieme a cani, gatti e miriadi di topi, strapopolano questo quartiere. Forse, se il Signore avesse concretamente scelto di nascere in quest’epoca, e...al Cairo, forse..., dato lo stile che caratterizza gli interventi di Dio, non avrebbe disdegnato questo posto. Chissà come sarebbe questa baraccopoli, stracolma di rifiuti, la notte di natale se gli angeli la adornassero di luccichii dorati ed argentati e se cantassero le melodie del cielo:

“...Adeste fideles....

...Tu scendi dalle stelle…

...Gloria a Dio nell’alto dei cieli....”

Carissimi, Dio ha veramente posto la sua dimora tra i derelitti della terra!                                                          

Buon Natale!

p. Luciano, i suoi collaboratori e

tutti i bambini

 

Sono trascorsi ormai più di tre anni da quella domenica di settembre, quando don Dino, nel corso della Messa delle 10.30, ha salutato la comunità chiaravallese, prima di assumere l’importante e impegnativo incarico di Rettore del Pontificio Seminario Teologico Regionale “San Pio X” di Catanzaro. I quindici anni che don Dino ha trascorso tra la gente di Chiaravalle sono stati, sotto ogni aspetto, un grande dono del Signore. Dal punto di vista religioso, ci ha insegnato a vivere la fede in maniera autentica, nella libertà propria dei figli di Dio, senza fardelli o orpelli e tanto meno eccessi devozionistici, radicata esclusivamente sul messaggio di salvezza del Vangelo. Straordinari i frutti vocazionali che sono stati raccolti prima con il sacerdozio di don Ivan e che tra non molto matureranno con quello di Alessandro. Dal lato sociale, sono stati quindici anni fecondi di iniziative di solidarietà vera, realizzate rimanendo sempre vicino a tutti e sensibile alle esigenze di ogni parrocchiano, come il buon pastore che ha cura delle sue pecorelle. Non è possibile poi enumerare le associazioni che, in quel clima di partecipazione e di confronto, sono nate, cresciute e che con la loro attività, sempre stimolata e promossa da don Dino, hanno contribuito a vivacizzare e migliorare l’intero contesto sociale. Ma, don Dino ha pensato anche ai luoghi di culto, ridando dignità alle nostre chiese, perché su quelle pietre materiali potessero anche crescere le pietre più importanti dello spirito.

Ecco perché a oltre 3 anni da quell'11 settembre 2005 diciamo ancora grazie a don Dino per essersi speso completamente per la nostra comunità. Ecco perché oggi pubblichiamo il testo dell’omelia che pronunciò quella mattina in Chiesa Matrice, come un testamento, un lascito prezioso per tutti noi.

Caro don Dino ti sei allontanato da noi, solo fisicamente, di pochi chilometri, ma non sarai mai lontano dai nostri cuori.

                                                                                       Gianfranco Mammone

(Giovedì, 23 ottobre 2008)

IO CHE HO AMATO SOLO TE, SIGNORE

(l'omelia e il saluto di Don Dino dell'11 settembre 2005)

(Il testo in formato .doc è scaricabile anche da qui )

   Carissimi,

capite bene come non sia facile, in questi momenti, prendere la parola… ma come tacere, anche se bloccato dall’emozione, di fronte alle meraviglie dell’amore di Dio?

   Amore grande e misericordioso, che ci invita ad essere uomini e donne di perdono… perché il vangelo di oggi ci mostra come già grande e sconfinato è il suo perdono per noi, debitori di “diecimila talenti”! Un immenso, favoloso “tesoro”,  se pensiamo che un solo “talento” al tempo di Gesù era qualcosa come 35 kg di oro!!

Come ricambiare questo tenace amore che il Padre ha nei nostri confronti?…

    Qui sta il segreto della nostra gioia o della nostra terribile tristezza e solitudine “quante volte dovrò perdonare…fino a sette volte?”

Nella risposta di Gesù : “…fino a settanta volte sette”, cioè sempre, è racchiusa la risposta alla nostra sete di felicità!

Per capire meglio questo momento di storia della mia vita personale e della comunità di Chiaravalle, voglio confidarvi alcuni “pezzetti” del mio passato:

1. Ad un certo punto della mia esperienza giovanile ho incontrato gli scout; un loro motto dice “lasciare il mondo un tantino migliore di come lo trovi”. Inoltre condividendo insieme agli altri le faticose camminate in montagna, con zaino in spalla e sacco a pelo per dormire in tenda, con lo stretto necessario per evitare inutili pesi, mi sono formato al gusto per l’essenziale. Alla fine dei campeggi, al fuoco di fraternità dell’ultima sera, non mancava mai la canzone “ è l’ora dell’addio, fratelli, è l’ora di partir… il canto si fa triste è ver: partir è un po’ morir”… ma poi, nelle lacrime, si continuava a cantare  la speranza  “Ma noi ci rivedremo ancor, ci rivedremo un dì…arrivederci si…iddio che tutto vede e sa ci voglia benedir,… ci voglia un dì riunir”

2. Un altro tassello della mia formazione è stato l’incontro, nella parrocchia francescana di Madonna di Pompei, con il messaggio di san Francesco D’Assisi, con la sua “madonna povertà” per amare più profondamente e in libertà, con il suo incantarsi davanti alla natura “fratello Sole, sorella luna…Laudato sie mi Signore… per le stelle e le Orchidee…” , imparando dal poverello frate minore, che si piange solo perché  “l’Amore non è amato” e anche quando gli altri non ti capiscono e ti sottovalutano: “scrivi Frate Leone, ivi è la perfetta letizia”… e soprattutto mi ha insegnato che il vangelo si vive per intero, senza aggiustamenti di comodo!

3. Poi… sempre nell’arco di quegli anni giovanili, è arrivato il momento di affidarsi ad un maestro spirituale… è lì sono bastate poche frasi per cambiare i miei sogni: “ se questi e queste, perché non io?”…”avere a cuore l’Eterno!”…e ho accolto con trepidazione la vocazione sacerdotale  dicendo 26 anni fa: “Eccomi”!

 

   Dice ad un certo punto una celebre canzone d’amore napoletana: “quando si dice SI, tienilo a mente!”. Quindici anni fa, quando il Vescovo mi mandò a Chiaravalle come parroco, scrisse queste consegne nella bolla di nomina: “Esperto come sei in umanità e in carità, quale direttore diocesano della Caritas, riproponi, per una evangelizzazione, la novità del progetto di Cristo per l’uomo, preoccupati come siamo, della perdita o della attenuazione della memoria evangelica, anche tra la nostra gente. So che a Chiaravalle e in tanti paesi dell’Arcidiocesi si conservano tuttora, molto vive, tradizioni di pietà e di religiosità popolare cristiana che rischiano di essere fiaccati dal consumismo, dall’indifferentismo e dal fiorire delle sette. A te, nuovo parroco, il compito e la gioia di rilanciare nella fede, il vero volto della parrocchia che è la chiesa stessa, posta in mezzo alle case degli uomini, solidale con le aspirazioni e i loro drammi. Coinvolgi, da protagonisti nel proprio ruolo e con i propri carismi, i fedeli laici. Studia bene la dimensione del territorio. Evangelizza la famiglia che ti affido non soltanto nel binomio Parola-ascolto ma con la “sinodalità” nel senso generale del “camminare insieme”, come stiamo facendo, da qualche anno in diocesi, con la celebrazione del primo sinodo. i poveri, i semplici, i cosiddetti “lontani” ti vedano come epifania del Dio Amore. i fanciulli ti salutino come maestro dell’unico e vero Maestro…”  E nella successiva conferma con la nomina di don Gianni come parroco in solidum, in data 11 ottobre 1999, mons. Cantisani tornava a indicare … “la comunione presbiterale sarà una vera gioia per i presbiteri e un esempio di carità per il popolo di Dio che si avvia a celebrare il grande giubileo del 2000.” Anche io, nel primo Natale vissuto insieme, nell’ormai dicembre 1990, mi impegnavo con tutti voi scrivendo : “In questi primi giorni di vita chiaravallesi ho voluto ascoltare tutti: grandi e piccoli, famiglie e giovani, amministratori pubblici e gente semplice…voglio continuare a farlo ancora per rendermi conto sempre più delle vostre attese e delle vostre esigenze. Nei miei anni di sacerdozio, ho capito che la parrocchia non può diventare un circolo privato riservato a pochi, ma vuole essere la “casa di tutti” specialmente dei più poveri e deboli; deve diventare come diceva Papa Giovanni “la fontana del villaggio” dove tutti attingono gratuitamente l’Acqua Viva della Grazia di Dio e nello stesso tempo diventa luogo dell’incontro e del dialogo! Quindi mi raccomando: fatevi “vedere”! Partecipate alle varie iniziative che vi comunicheremo di volta in volta, date la vostra disponibilità in base alle vostre competenze ed esigenze di tempo: il poco di molti vale più del molto di pochi! la parrocchia siamo NOI!”

 

    Che ne dite? Fare un bilancio? Quello economico è facile, basta consultare i registri e c’è da rimanere sbalorditi: 2 miliardi e 131.979.880 lire (=1.101.075,72 di Euro) di entrate e  2 miliardi 117.817.830 lire (= 1.093.761,63 di Euro) di uscite!! Solo per  lavori  abbiamo speso 1 Miliardo 139.553.385 lire  ( =588.530,72 Euro). E sapete bene come si presentavano le chiese nel 1990: in Matrice mi pioveva in testa durante l’omelia della notte di Natale, il Cuore di Gesù era chiusa per ordinanze del Genio Civile a causa del soffitto pericolante, la Foresta era tutta in cemento e mattoni a vista. Ma nonostante tutto, abbiamo avuto la possibilità di impiegare per impegni di carità spicciola o di solidarietà con progetti di promozione umana per il sud del mondo pari a 116.308.772 lire (= 60.068,47 Euro) .

   Ma il bilancio che conta di più è quello spirituale? Sono stato fedele, con tutti i miei limiti, fragilità e peccati, al mandato del vescovo? NO, la risposta non può essere diversa da quella che diciamo ad ogni fine festa della Madonna della Pietra: “Come è andata?”: VEDIAMO DA DOMANI!!  Davanti a Dio quello che conta non è quello che si è fatto, ma QUELLO CHE SI E’ VOLUTO ESSERE.

    E’ stato bello aver condiviso con voi il cammino: 15 anni fa, la prima volta che passavo per la Sorbia e gettando uno sguardo panoramico su tutto il paese, ebbi ad esclamare: “mamma mia come è grande, come farò?”.  Ora per quasi ogni finestra so chi c’è dietro, quali gioie o drammi vive quella famiglia… anche il cimitero mi è “vivo”: almeno mille persone, tra grandi e piccoli, hanno avuto una mia benedizione prima della sepoltura, alcuni sono morte nelle mie mani, e tante sono state le lacrime di dolore o di gioia condivise e asciugate, e inquietanti  gli interrogativi  affrontati…

 

Cosa mi porto da Chiaravalle?

   Non è possibile elencare le emozioni, i volti, le esperienze… mi sfuggirebbe senz’altro qualcosa. Ma forse si potrebbe trovare un unico principio dentro il quale mettere tutto. Sono immensamente grato con tutti voi perché mi avete dato il senso delle “radici”: vivere 15 anni fermo in un posto mi hanno restituito l’esperienza del tempo che passa, della crescita, delle stagioni della vita… in 15 anni il bambino che ho battezzato e tenuto in braccio davanti all’altare ha ricevuto la Cresima ed è diventato più alto di me! …Ragazzi che si sono fidanzati, che ho celebrato il matrimonio, ora sono padri e madri di più figli, …tanti bambini che hanno ricevuto la Prima Comunione dalle mie mani ora lavorano e vivono fuori Chiaravalle,… in tanti anziani ho rivissuto gli affetti dei miei nonni, che guarda caso, uno era contadino e l’altro pastore! …Nelle case di campagna, tra gatti, pecore, mucche, maiali e galline, e guardando i campi nelle varie stagioni dell’anno,  ho rivissuto gli odori e i rumori della mia infanzia, quando passavo le vacanze al paesello in Sicilia… il fumo del focolare, l’acqua per innaffiare e soprattutto la fede semplice e forte delle donne, che a piedi si partono dalle parti più sperdute pur di non mancare a Messa la domenica, e che poi in questi giorni mi hanno abbracciato e piangendo dispiaciute mi dicevano “comu nu patri”…a me che potevo essere loro nipote!!      

   “Il senso delle radici”, che il Chiaravallese, anche se emigrato in America o in Svizzera, nella festa e nell’immagine della Madonna della Pietra, trova quella forza per continuare a lottare nel quotidiano, ad attingere all’onestà e alla generosità, alla ospitalità, al senso del sacrificio e all’attaccamento alla famiglia dei propri antenati: valori sempre più rari da trovare attorno, ma dei quali vi assicuro sono terribilmente assetati i nostri ragazzi, alla ricerca di testimoni semplici e autentici per andare avanti con speranza.

   E  poi come cristiani sappiamo che le vere Radici sono “nel cielo”! Pertanto davvero grande è la gratitudine per tutti voi: quando penso alla vostra crescita, ai vostri volti, alla storia condivisa… ringrazio il Signore perché amandovi e condividendo la vostra storia, ho capito meglio la dimensione dell’Eterno… si, le nostre “radici sono nel cielo”!

   Grazie, immensamente grazie! Ora capisco meglio il mio cammino; ancora più convinto posso ripropormi di AVERE A CUORE L’ETERNO.

   E “perdonatemi di cuore” ogni mio errore e mancanza.

 

Cosa vi consegno?

   Semplicemente quello che stiamo facendo e che ha caratterizzato tutto il mio tempo in mezzo a voi: La Messa domenicale, soprattutto questa delle 10,30 , dove si esprime in modo completo quello che è la parrocchia: “una famiglia di famiglie… la fontana del Villaggio dove tutti vengono ad attingere l’acqua viva del Vangelo e dei Sacramenti”.

   “Senza la Domenica non possiamo vivere!!”: questo grido gioioso dei martiri di Abitene del III secolo, i vescovi italiani hanno voluto che riecheggiasse anche ai nostri giorni e lo hanno messo come slogan per il Congresso Eucaristico Nazionale di Bari del maggio scorso.  E’ di domenica, 2 dicembre 90, prima di avvento, che ho iniziato ad abitare con voi… è di domenica, oggi 11 settembre 2005, domenica della Misericordia di Dio e del perdono reciproco, che riparto… zaino in spalla, ricco solo del vostro amore, per raccontare ai futuri sacerdoti calabresi che si preparano nel Seminario S.Pio X di Catanzaro, di quale prete oggi ha bisogno la gente di Calabria.

   Nella Messa domenicale c’è il cuore pulsante della Comunità parrocchiale: abbiamo il Pane della Parola di Dio e dell’Eucaristia, e l’invito alla fraternità, nonostante si proviene da strade e case diverse. Da questo appuntamento, che sicuramente mi mancherà tanto in futuro, abbiamo trovato l’energia per amarci nonostante la diversità, tra sacerdoti (quanti hanno viaggiato con noi… don Mimmo, don Maurizio, don Cesare, don Gregorio, don Simone, don Giuseppe, gli indimenticabili fratelli africani don Gerome e don Joseph… e ora don Antonio e don Gianni) frati cappuccini, suore e fedeli …  

   Da questa Eucaristia Domenicale abbiamo attinto la forza per impostare la catechesi e portare la vita con i suoi drammi e le nascoste speranze nella liturgia… ancora da qui per il coraggio di testimoniare l’amore, la caritas, per i più poveri e abbandonati, per ripartire dagli “ultimi”, per sognare un mondo pacificato da ogni conflitto…

   Siete in tanti… vi ritroverete domenica prossima? Ha avuto un senso la mia presenza in mezzo a voi? Certamente lo sapremo tra qualche anno, nel modo con cui continuerete il cammino con don Gianni (a cui va il mio affetto e la mia stima… e chiedo perdono se a volte l’avrò fatto soffrire: vi assicuro che non era assolutamente nelle mie intenzioni!!), nel modo con cui accoglierete e insieme collaborerete con l’altro parroco e con le istituzioni presenti nel territorio: l’Amministrazione Comunale, le forze sociali ed istituzionali e soprattutto con il mondo della scuola: quanti progetti ed esperienze abbiamo vissuto insieme!!

 

   La “processione” continua… “ci rivedremo un dì”… io resto indietro, i vescovi mi hanno incaricato di  preparare le nuove guide del popolo di Dio, futuri sacerdoti che sappiano indicare a loro volta le strade del Regno Eterno del nostro Padre Amabilissimo. Come facevo a dire di “NO!” a questa chiamata? E se vedevo solo il mio “stare ormai bene” qui a Chiaravalle, con quale limpidezza e trasparenza avrei annunciato a voi e ai vostri figli il Vangelo di Gesù?

 

   Da padri, dobbiamo imparare a metterci da parte per dare libertà e futuro alle giovani generazioni: noi sacerdoti siamo solo “strumenti”, ecco perché da quando ho avuto la conferma della nomina a Rettore del Seminario  mi sono “messo da parte” e non ho più messo il microfono davanti ai gradini… da qui, vedete meglio CHI ho voluto annunciarvi, A CHI ho voluto farti attaccare: a Gesù e a Maria, sua e madre nostra!

   E’ bello essere prete così: truppa “leggera” , prete “senza casa” (come mi ha definito Walter) perché sia “di casa” presso tutti…prete, a volte bistrattato, insignificante, non calcolato…ma necessario per essere certi che le gioie siano vere e le lacrime siano asciugate… gente che non viene mai in chiesa ma che poi domanda “perché ve ne andate?…Quando passo la luce non sarà più accesa! … sarà ancora aperta la porta della canonica ?”

 

        Io che ho amato solo Te, Signore

Ancora una canzone mi servirà per cucire i vari sentimenti di questo giorno così particolare… l’ho sentita per radio l’altro giorno quando si comunicava la morte di Sergio Endrigo… Io la faccio mia , trasformandola in preghiera al Signore e alla Madonna della Pietra e… portandovi tutti nel cuore:

 

C’è gente che ama mille cose e poi si perde per le strade del mondo…

io ho avuto solo Te e non ti perderò, non ti lascerò per cercare nuove avventure

io che amo solo Te

ti regalerò quel che resta della mia gioventù.

 

 

don Dino                            

 

Chiaravalle Centrale, domenica 11 settembre ’05

 



Cliccando sul player sottostante potrete ascoltare le parole che Don Tonino Bello pronunciò a Serra San Bruno l’11 aprile del 1992, durante la giornata diocesana della gioventù. E’ un documento eccezionale che ci ricorda la figura ed il messaggio di un testimone autentico del Vangelo e della pace. Sono parole ancora vive.

Don Tonino Bello Serra San Bruno 11.04.1992

Per chi volesse scaricare il file può farlo andando alla sezione download del sito, nella categoria testimonianze.

Chi desidera approfondire  su Don Tonino Bello può visitare  dontonino e paxchristi

Don Tonino Bello (da www.paxchristi.it)

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