Quando parla il cuore
non ci sono sordi
che non possano sentire.

Quando parla il cuore
si ferma tutto il mondo,
perché il suo linguaggio
è una voce universale.

Anche l’amore germoglia,
fiorisce con sfolgoranti colori,
diffondendo nell’aria pura
i profumi di mille giardini.

La fragranza della sua parola
si percepisce da tanto lontano,
come il chiarore dell’orizzonte.

Quando parla il cuore
non fa mai rumore;
similmente ad un rigagnolo
che lento scende verso il fiume,
raggiungendo l’infinito mare.

Silenzioso bussa quand’è buio
alla grande porta dell’anima;
se hai il coraggio di aprirla
rivedi il tuo film in immagini,
se son chiare, scure o grigie
sono le metafore della tua vita.

Quando parla il cuore
non c’è notte e non c’è giorno,
perché le sue intime parole
non hanno occhi per vedere.

Sulla scia del vento aleggiano,
arrivano piano, da sole in silenzio,
seminando in ogni, e di qua e di là,
l’amore che detta il verbo di Dio.  
I misteri si svelano agli occhi ciechi
e la saggezza stura le orecchie chiuse.

Quando parla il cuore
è Dio che si manifesta con la Parola,
traspaiono quasi invisibili dall’alto cielo,
le sussurra piano per non disturbare.

Sol se l’uomo, col timor dell’Eterno,
scaccia i rumori assurdi della mente,
potrà sentire i passi velati dell’Atteso
ed in devoto silenzio udire la Sua Parola.

di Giovanni (Jolly) Sestito

(Sabato, 19 ottobre 2019)

Finalmente una legge c'è, è monca, non è perfetta, manca di tante cose, ma c'è. Alle condizioni date forse era l'unico compromesso possibile. Ci adeguiamo, in parte, ai sistemi giuridici della maggior parte dei paesi europei che già da tempo hanno regolato le unioni civili. Penso che aggiungere diritti e spazi di convivenza e libertà é sempre assolutamente positivo. Abbiamo ancora tante distanze da colmare, mi riferisco, per esempio, alla legge sul fine vita, a quella sullo ius soli, ad una piú adeguata disciplina delle adozioni... La "sparata" di Renzi, che dice di aver giurato sulla Costituzione e non sul Vangelo, lascia però il tempo che trova... É un gran calcolatore e trova sempre la frase ad effetto per "regolare" i conti con qualcuno. É un maestro da questo punto di vista...potremmo partire da "Enrico, stai sereno". Su quale Costituzione ha giurato? Su quella di cui ha fatto scempio facendo votare una riforma scandalosa con un Parlamento semivuoto e comunque illegittimo perché eletto con una legge incostituzionale. Il riferimento al Vangelo poi mi sembra davvero ridicolo. Ci mancherebbe che un capo di governo giurasse sul Vangelo e poi...non è che il Vangelo pone preclusioni rispetto alla legge sulle unioni civili. Non mi pare che Gesù abbia detto qualcosa al riguardo. Sono solo i cattolici bigotti e "speculatori" che si fanno "difensori" incoerenti di non so quali valori. Il Vangelo apre e non chiude e sono più le cose non dette che quelle dette. Per questo, Gesù ci ha lasciato lo Spirito, proprio per discernere, comprendere, interpretare la realtà alla luce dell'amore, del bene, della giustizia e leggendo sempre i segni dei tempi. Come diceva Giovanni XXIII, non è il Vangelo che cambia, siamo noi che lo comprendiamo meglio. Preferisco molto di più la frase di Romano Prodi, quando disse di essere un "cattolico adulto". Erano tempi più duri, la Conferenza Episcopale Italiana si buttava sempre a gamba tesa su qualsiasi soffio di proposta di legge, e non aveva la "bella" "Ala" protettiva e "conservativa" (delle proprie poltrone) dei verdiniani. Poi la destra nostrana fa davvero piangere: ma come, loro che si sono sempre definiti liberali? Ma de che...

(Venerdì, 13 maggio 2016)

Lo so che non sono un "buon cattolico", ma non mi sento rappresentato dai "cattolici" che hanno organizzato il family day, non mi sento rappresentato dai Bagnasco, Ruini, Bertone e tantomeno dai vari Fioroni, Quagliarello, Sacconi, Giovanardi, Gasparri, Salvini, Formigoni, o dai fascisti di Casa Pound che sabato scorso hanno manifestato (fisicamente o idealmente) tutti insieme appassionatamente (probabilmente senza sapere bene neanche loro per cosa).

(Lunedì, 1 febbraio 2016)

Gesù poteva essere un grande leader "politico", poteva costituire un suo partito o mettersi alla testa di uno di quelli esistenti (ce ne erano diversi anche a quei tempi). Ma, non lo ha fatto. Un Messia politico, un Messia che avrebbe dovuto restaurare il regno di Israele: era questa la grande attesa del popolo ebreo. Anche i suoi discepoli, in cuor loro, nutrivano una tale speranza e, sino alla resurrezione, ci avevano capito davvero poco. Ma, Gesù è stato il Messia al contrario, ha ripudiato il potere terreno, ogni forma di potere umano, anche quello religioso. Il potere politico e quello religioso, quindi, sentendosi in pericolo, lo hanno ucciso. Allora, forse, potremmo concludere, in maniera provocatoria, che il cristiano, colui che si pone alla sequela di Gesù, dovrebbe rifuggire qualsiasi forma di potere, perchè ogni potere di questa terra ha in sè i germi della corruzione, della violenza, del cinismo. Il cristiano, obbedendo al "nuovo comandamento" che Cristo ci ha lasciato, deve essere vicino agli uomini e servirli per essere vicino a Dio e servirLo, ma non dovrebbe "comprommetersi" con il potere, non averne brama. Paolo VI diceva che la politica è la più alta forma di carità. Capiamo benissimo il senso delle sue parole ma, volgendo lo sguardo al modo con il quale il potere politico e religioso hanno esercitato nella storia ed esercitano tuttora la loro "funzione", potremmo serenamente concludere che il potere è agli antipodi del cristianesimo.

(Domenica, 10 gennaio 2016)

C’è un viaggio che ogni cristiano dovrebbe fare o, comunque, desiderare di fare: quello a Gerusalemme. Non è viaggio qualunque, come quelli che si possono intraprendere verso qualunque altra parte del mondo, ma è un pellegrinaggio o, meglio, il Pellegrinaggio: quello alla radice della fede, quello che ti fa camminare nei Luoghi da dove tutto è partito, nei posti dove Gesù è passato beneficando, benedicendo per poi morire sul Calvario e, quindi, risorgere. Se davvero lo vuoi, non c’è alcun timore o paura che ti possa fermare e se ci vai, appena rientrato a casa, ti prende una grande nostalgia, ti invade il pensiero irrefrenabile di tornarci appena possibile. La Terra Santa e, soprattutto, Gerusalemme, sono luoghi “magnetici” che ti attirano in maniera davvero potente. Là capisci ancora di più il senso della fede, là il mistero ti avvolge completamente ed entri pienamente dentro le Scritture, nella buona novella del Vangelo. Non ti puoi sottrarre dal ricevere quella linfa: percorrere quei luoghi non è semplicemente guardare le mura, le pietre, i simboli della vicenda umana e divina di Gesù, ma è compenetrarsi in quello che Lui ha vissuto, in tutto ciò che ha dato senso alla Sua missione terrena. Là capisci ancora di più, là preghi per il perdono personale, per la pace e la misericordia universale e perché, tornato a casa, tutta quella grazia che hai ricevuto possa essere donata a tutti coloro che incrocerai nella tua vita. 

(Domenica, 22 novembre 2015)

“Solo chiederò / che la guerra non mi lasci indifferente / è un mostro grande e si divora / la povera innocenza della gente /

Solo io chiederò / che il dolore non mi lasci indifferente / e che la morte non m’incontri / prima che queste parole siano spente...”

(Versi tratti dalla canzone "Solo le pido a dios" di Leon Gieco, uno dei più importanti cantautori argentini)

(Venerdì, 30 ottobre 2015)

In questi giorni si sta svolgendo, in Inghilterra, la coppa del mondo di rugby. E' un'ottima occasione per introdursi al meraviglioso sport della palla ovale, oppure, per chi già lo conosce, per apprezzarlo ancora di più. Si sa, l'italiano medio è calciofilo e indubbiamente il gioco del calcio, al netto delle schifezze e dei vari scandali che lo contraddistinguono e lo rendono sempre meno credibile, è bello, ma il rugby non ha niente da invidiargli, anzi, proprio per l'altissimo tasso di sportività  e lo spirito che lo contraddistinguono, è probabilmente uno sport superiore. E' vero, il rugby è duro, ma assolutamente corretto. Qui, il rispetto non è solo uno slogan da enunciare negli spot televisivi e nei cartelloni a bordo campo, ma è la forma e la sostanza di questa attività sportiva: lo è nei rapporti tra i giocatori in campo, tra i giocatori e gli arbitri, tra i tifosi delle squadre avversarie che siedono sugli spalti, ereticamente, gli uni a fianco degli altri, pronti a gioire anche per una metà insperata quando magari stai perdendo 50 a 0. E' uno sport assolutamente trasparente. Gli arbitri dialogano in maniera limpida con i giocatori, così che anche gli spettarori possano ascoltarne il contenuto, e se c'è qualche giocata dubbia fermano la partita per consultare il TMO, ossia la revisione al replay dell'azione, in modo di essere certi di prendere la decisione giusta. Sono proprio tali principi che limitano al massimo i comportamenti scorretti e le proteste dei giocatori che, ove si verifichino, sono puntualmente rilevati e sanzionati. E' chiaro, l'aspetto più bello è quello del gioco: il rugby è fondalmente basato sulla conquista del territorio avversario e su una serie di regole che lo rendono unico, avvicente e molto divertente. Insomma, viva il Rugby.

(Lunedì, 12 ottobre 2015)

Grande Papa Ciccio.
Guardarlo e ascoltarlo in diretta é stato meraviglioso.
Ieri pomeriggio, davanti al Congresso degli Stati Uniti, ha pronunciato uno storico, indimenticabile e formidabile discorso.
"Perché si forniscono armi terribili che infliggono sofferenze immani a tante persone? La risposta è semplice: il denaro." E pensare che é stato applaudito da parlamentari che rappresentato le potentissime lobbies americane delle armi. Poi, le parole per l'abolizione della pena di morte, i tanti riferimenti alla pace, alla speranza, alla giustizia, alla libertá, al dovere dell'accoglienza: "Dobbiamo accogliere, perché siamo stati accolti, perché siamo stati anche noi stranieri".
Insomma, la vera rivoluzione, quella del Vangelo.

(Venerdì, 25 settembre 2015)

22 dicembre 2006, il Vicariato di  Roma nega il consenso ai funerali secondo il rito religioso di Piergiorgio Welby, pur richiesti dalla moglie cattolica, con un comunicato scritto in pieno burocratese e senza un briciolo di misericordia: "In merito alla richiesta di esequie ecclesiastiche per il defunto Dott. Piergiorgio Welby, il Vicariato di Roma precisa di non aver potuto concedere tali esequie perché, a differenza dai casi di suicidio nei quali si presume la mancanza delle condizioni di piena avvertenza e deliberato consenso, era nota, in quanto ripetutamente e pubblicamente affermata, la volontà del Dott. Welby di porre fine alla propria vita, ciò che contrasta con la dottrina cattolica (vedi il Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2276-2283; 2324-2325)."

20 agosto 2015, nella stessa chiesa dove avrebbero dovuto celebrarsi le esequie di Piergiorgio Welby, si svolge, senza alcuna esitazione e nessun dubbio o remora, il funerale "religioso" di Vittorio Casamonica, perchè era un "cattolico". Il problema non è nella celebrazione del funerale, che, nella misericordia della fede, non dovrebbe essere mai negato, ma nelle modalità sfarzose, vergognose, e segno inequivocabile di potere e prepotenza mafiosa con le quali la chiesa locale ha consentito che quella celebrazione si svolgesse, oltre che chiaramente nella disparità di trattamento tra le due situazioni. In questi giorni molto è stato scritto sul caso anche mediatico che si è scatenato a "babbo morto" come si dice, e non è necessario aggiungere altre parole. Può essere invece l'occasione per tornare sul tema del fine vita. Lo facciamo riproponendo l'articolo che il cardinale Carlo Maria Martini scrisse per "Il Sole 24 Ore" il 21 gennaio del 2007, quindi appena un mese dopo la morte di Piergiorgio, nel quale è pure trattato il problema delle crescenti disuguaglianze del nostro sistema sanitario nazionale.

"Io, Welby e la morte" (di Carlo Maria Martini)

"Con la festa dell'Epifania 2007 sono entrato nel ventisettesimo anno di episcopato e sto per entrare, a Dio piacendo, anche nell'ottantesimo anno di età. Pur essendo vissuto in un periodo storico tanto travagliato (si pensi alla Seconda guerra mondiale, al Concilio e postconcilio, al terrorismo eccetera), non posso non guardare con gratitudine a tutti questi anni e a quanti mi hanno aiutato a viverli con sufficiente serenità e fiducia. Tra di essi debbo annoverare anche i medici e gli infermieri di cui, soprattutto a partire da un certo tempo, ho avuto bisogno per reggere alla fatica quotidiana e per prevenire malanni debilitanti. Di questi medici e infermieri ho sempre apprezzato la dedizione, la competenza e lo spirito di sacrificio. Mi rendo conto però,con qualche vergogna e imbarazzo, che non a tutti è stata concessa la stessa prontezza e completezza nelle cure. Mentre si parla giustamente di evitare ogni forma di "accanimento terapeutico" ,mi pare che in Italia siamo ancora non di rado al contrario, cioè a una sorta di "negligenza terapeutica " e di "troppo lunga attesa terapeutica". Si tratta in particolare di quei casi in cui le persone devono attendere troppo a lungo prima di avere un esame che pure sarebbe necessario o abbastanza urgente, oppure di altri casi in cui le persone non vengono accolte negli ospedali per mancanza di posto o vengono comunque trascurate. È un aspetto specifico di quella che viene talvolta definita come "malasanità" e che segnala una discriminazione nell'accesso ai servizi sanitari che per legge devono essere a disposizione di tutti allo stesso modo.
Poiché, come ho detto sopra, infermieri e medici fanno spesso il loro dovere con grande dedizione e cortesia, si tratta perciò probabilmente di problemi di struttura e di sistemi organizzativi. Sarebbe quindi importante trovare assetti anche istituzionali, svincolati dalle sole dinamiche del mercato, che spingono la sanità a privilegiare gli interventi medici più remunerativi e non quelli più necessari per i pazienti, che consentano di accelerare le azioni terapeutiche come pure l'esecuzione degli esami necessari.
Tutto questo ci aiuta a orientarci rispetto a recenti casi di cronaca che hanno attirato la nostra attenzione sulla crescente difficoltà che accompagna le decisioni da prendere al termine di una malattia grave. Il recente caso di P.G. Welby, che con lucidità ha chiesto la sospensione delle terapie di sostegno respiratorio, costituite negli ultimi nove anni da una tracheotomia e da un ventilatore automatico, senza alcuna possibilità di miglioramento, ha avuto una particolare risonanza. Questo in particolare per l'evidente intenzione di alcune parti politiche di esercitare una pressione in vista di una legge a favore dell'eutanasia. Ma situazioni simili saranno sempre più frequenti e la Chiesa stessa dovrà darvi più attenta considerazione anche pastorale.
La crescente capacità terapeutica della medicina consente di protrarre la vita pure in condizioni un tempo impensabili. Senz'altro il progresso medico è assai positivo. Ma nello stesso tempo le nuove tecnologie che permettono interventi sempre più efficaci sul corpo umano richiedono un supplemento di saggezza per non prolungare i trattamenti quando ormai non giovano più alla persona.
È di grandissima importanza in questo contesto distinguere tra eutanasia e astensione dall'accanimento terapeutico, due termini spesso confusi. La prima si riferisce a un gesto che intende abbreviare la vita, causando positivamente la morte; la seconda consiste nella «rinuncia ... all'utilizzo di procedure mediche sproporzionate e senza ragionevole speranza di esito positivo» (Compendio Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 471). Evitando l'accanimento terapeutico «non si vuole ... procurare la morte: si accetta di non poterla impedire» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n.2.278) assumendo così ilimiti propri della condizione umana mortale.
Il punto delicato è che per stabilire se un intervento medico è appropriato non ci si può richiamare a una regola generale quasi matematica, da cui dedurre il comportamento adeguato, ma occorre un attento discernimento che consideri le condizioni concrete, le circostanze e le intenzioni dei soggetti coinvolti. In particolare non può essere trascurata la volontà del malato, in quanto a lui compete — anche dal punto di vista giuridico, salvo eccezioni ben definite — di valutare se le cure che gli vengono proposte, in tali casi di eccezionale gravità, sono effettivamente proporzionate.
Del resto questo non deve equivalere a lasciare il malato in condizione di isolamento nelle sue valutazioni e nelle sue decisioni, secondo una concezione del principio di autonomia che tende erroneamente a considerarla come assoluta. Anzi è responsabilità di tutti accompagnare chi soffre, soprattutto quando il momento della morte si avvicina. Forse sarebbe più corretto parlare non di «sospensione dei trattamenti» (e ancor meno di «staccare la spina»), ma di limitazione dei trattamenti. Risulterebbe così più chiaro che l'assistenza deve continuare, commisurandosi alle effettive esigenze della persona, assicurando per esempio la sedazione del dolore e le cure infermieristiche. Proprio in questa linea si muove la medicina palliativa, che riveste quindi una grande importanza.
Dal punto di vista giuridico, rimane aperta l'esigenza di elaborare una normativa che, da una parte, consenta di riconoscere la possibilità del rifiuto (informato) delle cure — in quanto ritenute sproporzionate dal paziente — , dall'altra protegga il medico da eventuali accuse (come omicidio del consenziente o aiuto al suicidio), senza che questo implichi in alcun modo la legalizzazione dell'eutanasia. Un'impresa difficile, ma non impossibile: mi dicono che ad esempio la recente legge francese in questa materia sembri aver trovato un equilibrio se non perfetto, almeno capace direalizzare un sufficiente consenso in una società pluralista.
L'insistenza sull'accanimento da evitare e su temi affini (che hanno un alto impatto emotivo anche perché riguardano la grande questionedi come vivere in modo umano la morte) non deve però lasciare nell'ombra il primo problema che ho voluto sottolineare, anche in riferimento alla mia personale esperienza. È soltanto guardando più in alto e più oltre che è possibile valutare l'insieme della nostra esistenza e di giudicarla alla luce non di criteri puramente terreni, bensì sotto il mistero della misericordia di Dio e della promessa della vita eterna."

(Domenica, 23 agosto 2015)

Un noto detto si esprime così: “l’uomo propone, ma Dio dispone”. Però, pensandoci bene, forse è vero il contrario: “Dio propone, ma l’uomo dispone”. Si, perché è sempre l’uomo che alla fine sceglie, è sempre l’uomo che ha davanti la proposta del Signore, ma che poi in definitiva decide cosa fare, se accogliere la Sua Parola o discostarsene, se operare per il bene, essere ignavo o addirittura agire per il male. Dio ci lascia una grande libertà che tocca a noi gestire nella nostra responsabilità. Ciò spiega forse la terribile domanda che ci poniamo di fronte al male: “Signore dove eri, dove sei?”. La risposta possiamo forse darcela ribaltando l’interrogativo: uomo dove eri, uomo dove sei? Sappiamo come rispose Caino. “sono forse il custode di mio fratello?”. Il Signore gli aveva proposto la via del bene, ma Caino scelse la strada contraria. Dio è padre, ma non è paternalista. Non ci fa mai la predica, però ci indica sempre la via da seguire, la porta da aprire, che può essere molto stretta, ma una volta entrati ci conduce alla vera felicità. Dio non si ritira mai dalla storia, è sempre nella storia e con la nostra preghiera e le nostre opere possiamo fare in modo che resti sempre di più nella storia di ognuno di noi.

(Domenica, 26 luglio 2015)

Lo scorso 22 giugno Papà Francesco ha fatto visita al Tempio Valdese di Torino. Nel corso del suo intervento, ha chiesto perdono alla Comunità Valdese per le persecuzioni della Chiesa Cattolica, precisando che si è trattato di comportamenti non cristiani e non umani. Qualche mese prima, era stato ospite della Chiesa Pentecostale di Caserta, chiedendo anche lì perdono per le persecuzioni provocate dalle delazioni di alcuni cattolici dopo la promulgazione delle leggi razziali del regime fascista. In tutte e due le occasioni Papa Francesco ha voluto, comunque, offrire dei segni di comunione e di fratellanza, ha dato concretezza al potere dei segni, piuttosto che ai segni del potere. Purtroppo, però alcuni dei suoi vescovi non se ne sono accorti, oppure in quei giorni non hanno guardato la televisione e nemmeno letto i giornali. Ne ho avuto conferma stamattina durante la messa delle 10:30 nella mia parrocchia, presieduta eccezionalmente da un vescovo "noto" anche per le prediche canore che spopolano su YouTube. Ha esordito nella sua omelia rimarcando che ci trovavamo in una chiesa cattolica, che siamo cattolici, e che nella nostra città c'è (sigh) una chiesa evangelica. Ha proseguito facendo percepire ai, peraltro, pochi presenti che solo noi cattolici siamo in possesso della verità, insomma noi cattolici da una parte, i protestanti dall'altra, rispettivamente serie A e serie B  (ad essere buoni) del cristianesimo. Ha poi però denunciato che, da alcune ricerche, emerge che la maggior parte dei cattolici che frequentano la messa domenicale non conoscono le scritture, quindi la Parola e ciò che da senso compiuto alla loro fede. Ma come? Avrei voluto interloquire: questa è una precisa responsabilità della chiesa cattolica, che sino al Concilio Vaticano II in pratica ha proibito la lettura delle Sacre Scritture, mentre le chiese protestanti hanno fatto della conoscenza "universale" della Parola il vero punto di forza della fede. Sono rimasto davvero sconcertato da un atteggiamento oltremodo paternalistico, quando si è messo persino a discettare di dieta e di succhi gastrici rimanendo del tutto sconnesso con il Vangelo di questa domenica.
Alla conclusione della celebrazione, salutando i fedeli, ha chiesto “scusa” per la lunghezza dell'omelia, dicendo però che i fedeli di ogni parrocchia dovrebbero chiedere al loro parroco di fare omelie più lunghe. A parte che dipende molto da cosa ha da dire il parroco (alcuni potrebbero davvero astenersi dal pronunciare l'omelia per i danni che provocano), ma leggete cosa dice Papa Francesco nella sua Esortazione Apostolica "Evangelii Gaudium":  "L’omelia non può essere uno spettacolo di intrattenimento, non risponde alla logica delle risorse mediatiche, ma deve dare fervore e significato alla celebrazione. È un genere peculiare, dal momento che si tratta di una predicazione dentro la cornice di una celebrazione liturgica; di conseguenza deve essere breve ed evitare di sembrare una conferenza o una lezione. Il predicatore può essere capace di tenere vivo l’interesse della gente per un’ora, ma così la sua parola diventa più importante della celebrazione della fede. Se l’omelia si prolunga troppo, danneggia due caratteristiche della celebrazione liturgica: l’armonia tra le sue parti e il suo ritmo." Appunto!!! Forse, proprio per questo, Papa Francesco, sempre e dovunque, chiede di pregare per Lui, perché ne ha tanto bisogno. Non so cosa ne pensi il vescovo di questa mattina, ma nel clero e tra molti "devoti" gira una frase sempre più forte e ricorrente a riguardo di Papa Francesco che, come dicono a Napoli, esprime un significato preciso: ”Ha da passà 'a nuttata"

(Domenica, 12 luglio 2015)

Durante la visita dello scorso 22 giugno di Papa Francesco al Tempio Valdese di Torino, Eugenio Bernadini, moderatore della Tavola Valdese, ha posto un problema davvero importante: quello della ospitalità eucaristica, cioè, in parole semplici, la possibilità che un cristiano cattolico o ortodosso, possa ricevere la comunione durante una celebrazione delle chiese riformate (protestanti) e viceversa. Si tratta della cosiddetta "intercomunione" che, salvo rare coraggiose iniziative di alcuni sacerdoti e pastori, è vietata e osteggiata, sulla base di strane e artificiali "costruzioni teologiche", frutto dell'arroganza degli uomini, create ad arte per separare, dividere e creare delle barriere, impianti teologici che sono evidentemente delle "strutture di peccato".

Il quattordici giugno scorso, nel corso di un viaggio a Londra, con mio figlio abbiamo assistito ad una celebrazione ecucarista nella Cattedrale anglicana di San Paolo, presieduta da una pastora. Al momento della comunione, ci è sembrato assolutamente naturale parteciparvi insieme agli altri fratelli cristiani. Non abbiamo avuto alcuna remora nel farlo, e abbiamo vissuto una gioia davvero grande. La parola del Signore, il sacrificio di Gesù ci accomunano davvero e superano tutte le "presunzioni" umane, anche quelle di coloro che nel corso della storia, pretendendo di rappresentarlo, hanno "usato" e ancora usano le religioni per chiudere, recintare gli uomini, spaventarli al fine di perpetuare un potere che non proviene da Dio, ma dalle miserie dello nostra umanità.

(Domenica, 5 luglio 2015)

 

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