Durante la visita dello scorso 22 giugno di Papa Francesco al Tempio Valdese di Torino, Eugenio Bernadini, moderatore della Tavola Valdese, ha posto un problema davvero importante: quello della ospitalità eucaristica, cioè, in parole semplici, la possibilità che un cristiano cattolico o ortodosso, possa ricevere la comunione durante una celebrazione delle chiese riformate (protestanti) e viceversa. Si tratta della cosiddetta "intercomunione" che, salvo rare coraggiose iniziative di alcuni sacerdoti e pastori, è vietata e osteggiata, sulla base di strane e artificiali "costruzioni teologiche", frutto dell'arroganza degli uomini, create ad arte per separare, dividere e creare delle barriere, impianti teologici che sono evidentemente delle "strutture di peccato".

Il quattordici giugno scorso, nel corso di un viaggio a Londra, con mio figlio abbiamo assistito ad una celebrazione ecucarista nella Cattedrale anglicana di San Paolo, presieduta da una pastora. Al momento della comunione, ci è sembrato assolutamente naturale parteciparvi insieme agli altri fratelli cristiani. Non abbiamo avuto alcuna remora nel farlo, e abbiamo vissuto una gioia davvero grande. La parola del Signore, il sacrificio di Gesù ci accomunano davvero e superano tutte le "presunzioni" umane, anche quelle di coloro che nel corso della storia, pretendendo di rappresentarlo, hanno "usato" e ancora usano le religioni per chiudere, recintare gli uomini, spaventarli al fine di perpetuare un potere che non proviene da Dio, ma dalle miserie dello nostra umanità.

(Domenica, 5 luglio 2015)

 

Se centomila persone camminano insieme verso Assisi, città della Pace, allora vuol dire che "l'utopia" di un mondo e di una umanità senza guerra è ancora possibile. #PerugiaAssisi2014

 

 

(Sabato, 25 ottobre 2014)

Perchè in Atti degli Apostoli 1, 13-14  mentre i maschi  sono indicati ognuno con il proprio nome, le femmine vengono indicate genericamente come "alcune donne", con l'eccezione di Maria, la Madre di Gesù? Perchè, nello stesso capitolo, Pietro si rivolge esclusivamente ai "Fratelli"? E' iniziata da qui l'esclusione delle donne dal mininistero sacerdotale? Quelle donne, di cui non è riportato il nome, erano sicuramente, anche loro, delle "apostole". Se non altro, era stata la stessa resurrezione di Gesù che le aveva fatte "Apostole", come dice padre Enzo Bianchi in questa bella riflessione sulla Pasqua del Signore omelia Enzo Bianchi Pasqua 2014 

(Mercoledì, 20 maggio 2014)

Oggi la chiesa cattolica, nella sua dimensione "trionfante", ha canonizzato Papa Giovanni XXIII e Papa Giovanni Palo II. Aldilà dei dubbi sul merito, in particolare sull'elevazione agli onori degli altari di Karol Wojtyła, c'è da chiedersi: come la mettiamo con il fatto che solo Dio è Santo e che noi (noi inteso come cattolici) professiamo questa grande verità ogni volta che recitiamo il Gloria? "...perchè Tu solo il Santo, Tu solo il Signore..."

(Domenica, 27 aprile 2014)

Ascoltando fa "Tra cielo e terra", trasmissione di approfondimento religioso di Radio Uno che oggi tratta della Madonna, è stata immediatamente evidente una grande, diciamo così, contraddizione. Nella chiesa cattolica e in quella ortodossa dove il culto Mariano è fortissimo (rosari, santuari, basiliche, pellegrinaggi, processioni), alla donna non è riconosciuta la stessa dignità dell'uomo, rimanendo delle chiese fondamentalmente maschiliste. Nelle chiese cristiane protestanti, in particolare in quella valdese, dove il culto mariano non esiste ma c'è un forte riconoscimento della figura di Maria come madre di Gesù, donne e uomini hanno la stessa dignità anche "sacerdotale". Infatti le donne sono pastore, amministrano i sacramenti, hanno la cura delle anime.

(Domenica, 5 maggio 2013)

Il Papa nuovo si è dato un nome ma non un programma e vive alla giornata ma lo fa con tale spontanea semplicità che pare Papa da sempre. Per ora è la novità della figura papale che propone a simulare un progetto se non un programma. (...). A volte si tratta di scelte di parole, a volte di gesti, o simboli. Mai — fino a oggi — ha compiuto, o anche solo indicato, scelte di governo. Tra le parole, oltre al nome Francesco, possiamo mettere «poveri», «misericordia», «bontà», «tenerezza». Le prende dal Vangelo, le isola, ne fa un frammento del programma, come ha fatto con il nome. Tra i gesti: i saluti alla porta della chiesa, l'uscita in strada, la rinuncia ad alcuni ornamenti cerimoniali, la benedizione silenziosa ai non credenti, l'annuncio — dato ieri — della Lavanda dei piedi ai carcerati. Ma non ha detto una parola né compiuto un gesto in direzione del governo della Chiesa, non ha mai nominato la Curia: questa reticenza appare strategica, forse egli vuole uno spostamento forte del ministero petrino dal governo alla predicazione. Per ora la novità supplisce al programma". (Luigi Accattoli, “Corriere della Sera” , 23 marzo 2013)

Fin qui Accattoli. Mi sembra molto bello che il programma sia la persona stessa, che indica con una serie di segni la direzione in cui sta muovendo. E certo i segni sono tanti, ed è bello saperli interpretare e prenderli come una direzione di marcia non solo per i vertici ma anche per tutta la Chiesa. Tra questi segni però, prima o poi, ce ne saranno alcuni più decisivi, che riguardano la struttura di cui egli è il vertice. Non saranno forse i più importanti, ma un buon governo li esige. Speriamo che siano in sintonia con i segni che li hanno preceduti. Ma intanto cogliamo i fiori che sta seminando nel cammino della Chiesa.

(don Gaetano Rocca)
(Lunedì, 25 marzo 2013)

Ieri sera ho visto un Papa affaticato, stanco e, purtroppo, molto triste. Mi è venuto naturale affiancare le immagini di Giovanni XXIII dell'11 ottobre 1962 e quelle di Benedetto XVI cinquant'anni dopo. La sensazione che ho avuto è quella di due chiese lontane, la prima capace di lanciare un grande messaggio di entusiasmo, di speranza, di affetto verso ogni uomo e ogni storia personale, quella di oggi ripiegata su se stessa e nuovamente assediata dai "profeti di sventura".

(Venerdì, 12 ottobre 2012)

Per un attimo ho sperato che il sogno si avverasse, quando Benedetto XVI ha detto, ad un milione di pellegrini nella spianata di Bresso: “Auspico che le diocesi realizzino adeguate iniziative di accoglienza e di vicinanza ai divorziati. Sappiate che il Papa e la Chiesa vi sostengono nella vostra fatica”.

E qui, il Papa, si è fermato! Cosa mancava per dire: “Lascio ai vostri Vescovi e Pastori la possibilità del perdono, della assoluzione”. Molti separati e divorziati sono fedeli veri, alcuni addirittura fedelissimi.

Una buona direzione spirituale e una conoscenza profonda della loro storia, dovrebbe rasserenare tutti, Pastori e fedeli e permettere il salto, il gesto, il passaggio dalla comunione spirituale alla comunione completa, assumendo il Corpo e il Sangue di Cristo.

Niente. Tanto affetto, tantissimo calore umano, frasi inedite e commoventi, ma il gesto dovrà attendere ancora. O meglio, spero che debba attendere. Sarebbe, almeno secondo me, traumatico, se non arrivasse.

Peccato! Per i tanti preti-rifugio, ai quali centinaia di fedeli (ripeto: fedeli) si rivolgono, implorando l’eucarestia, l’occasione era straordinaria e unica. La chiesa, ancora una volta, ha preferito essere più maestra che madre.

Pare (sono poco obiettivo e sereno) che la regola valga più della misericordia e la chiarezza debba essere privilegiata per evitare dubbi e scandali “dei pusillanimi”. Lo stesso Papa si è dichiarato impossibilitato a passi ulteriori.

Perfino chi ha fatto la regola, poi si sente inadatto nel dichiarare eventuali eccezioni: nonostante tutti i codici prevedano, serenamente, eccezioni? Non sono teologo e tanto meno giurista. Mi sembrava però che, alcune premesse, spalancassero il cuore.

Dentro al perdonare “settanta volte sette” oltre all’abbraccio al figlio che torna dopo aver distrutto amori, fiducia e patrimonio, non ci sta anche l’invito alla mensa unica per qualche altro figlio che si è distrutto e ha bisogno di un Padre che lo ricostruisca?

Forse la comunione spirituale come da anni ci dicono: non è la solita formuletta ma molto di più.  Sempre secondo me, ultimo prete della chiesa, se c’è una cosa che deve coniugare interamente anima e corpo, è la vicinanza a Dio, il quale Dio si è fatto cibo, proprio per i più poveri, piccoli, sofferenti, lontani. Dio non si accontenta di comunioni spirituali, altrimenti non sarebbe venuto in terra.

Il Vangelo è un libro di teologia o è la storia di un Cristo fatto uomo, per portare a suo Padre i fratelli dispersi? Molti si sono accontentati di quelle frasi del Papa e della dolcezza con la quale sono state pronunciate. Io, purtroppo, mi aspettavo e mi aspetto, che le frasi vengano superate dai gesti!

(26 luglio 2012)

(Gaetano Rocca)

Riprendo dalla Repubblica di lunedì 18 giugno 2012. Il Dalai Lama ha scritto un libro intitolato "La felicità al di là della religione" che contiene i suoi pensieri e consigli. Una frase provocatoria quasi quanto il sottotitolo: "Una nuova etica per il mondo". Una formula per trovare la felicità. Attraverso l’etica, la giustizia e la compassione. Insomma attraverso l’educazione di se stessi e degli altri. Questo testo è stato scritto per dimostrare che non è necessario appartenere a una chiesa o una scuola spirituale per diventare dei buoni esseri umani. In questa piccola opera da oggi in libreria (per Sperling & Kupfer), il leader spirituale tibetano sostiene fin dalla prefazione che ogni sistema creato dall’uomo, per quanto idealmente buono, può facilmente provocare danni, anziché benefici, a causa della mancanza d’integrità degli individui che lo gestiscono. E questo vale anche – dice – per i principi religiosi. Nonostante l’idea di aiutare i credenti a condurre una vita felice, i precetti, se usati in modo scorretto, senza scrupolo o motivati da avidità ed egoismo, possono generare conflitti e divisioni. Proprio come nel campo del commercio e della finanza. Da qui la serie di consigli pratici che il Dalai Lama (che sarà a Milano il 27 e il 28) elenca come tante pillole di saggezza, sulle quali riflettere e, soprattutto, agire. Penso che sia utile per ripensare tanti luoghi comuni a cui noi cristiani siamo abituati.

(Gaetano Rocca)

(Giovedì, 21 giugno 2012)

Il card. Franz Koenig ai laici della sua arcidiocesi di Vienna in pieno Concilio, scriveva: “Quando avete qualcosa da dire rispetto alla Chiesa non aspettate il vescovo. Non aspettate una parola da Roma. Parlate quando pensate di doverlo fare, fate pressioni quando dovete farle. Tutte le volte che ne avete occasione informate il mondo e i cattolici. Inoltre dite anche tutto quello che il popolo e i fedeli si aspettano dalla Chiesa. In tal modo, questo processo che è nato nella speranza, non cadrà nella disillusione, ma avrà una realizzazione magnifica”.

Concordo del tutto con quanto dice il Card. Koenig. Mi resta però un piccolo dubbio: come è possibile dire tutto quello che il popolo e i fedeli si aspettano dalla Chiesa. Forse è unlapsus. Ma che cos'è questa “Chiesa” dalla quale il popolo e i fedeli si aspettano qualcosa? Non sono forse loro la Chiesa? Laici e Chiesa non sono in contraddizione o peggio ancora in contrapposizione. Il termine "laico" deriva dal termine greco "làos" che significa popolo. In realtà anche dopo il Concilio Vaticano II continuiamo a ragionare proprio in questo modo, come se la Chiesa si identificasse con la gerarchia e i semplici fedeli fossero dei semplici clienti di questa struttura. Non solo, ma ci comportiamo proprio come se le cose dovessero stare proprio così.

E allora è questa la mentalità che deve cambiare. Se la Chiesa siamo tutti noi, non bisogna chiedere nulla alla Chiesa, ma semplicemente dobbiamo assumerci ognuno le nostre responsabilità e comportarci come autentici figli della stessa Chiesa, facendo tutti i passi necessari per seguire Cristo come individui e come comunità. Questo però richiede che si sia disposti a pagare di persona. Le lamentele costano molto meno….

(Gaetano Rocca)

(Mercoledì, 14 marzo 2012)

Leggendo un articolo di monsignor Ravasi, che sul domenicale del Sole 24 Ore del 26 febbraio parlava della "teo-logia" mazziniana, ci si imbatte in questo interrogativo di padre Turoldo che davvero mette i brividi addosso: "La questione principale è non chiederci se Dio esiste, ma piuttosto domandarci quale Dio si venera". 
(Mercoledì, 14 marzo 2012)

Il Vangelo di questa domenica (Luca 24, 13-35), la terza di Pasqua, racconta la storia dei discepoli di Emmaus. E’ uno dei passi delle Scritture tra i più suggestivi e ha destato da sempre in me un profondo fascino e un forte senso di commozione.

Si narra di due discepoli che facevano ritorno a Emmaus dopo i fatti della settimana santa. Erano stanchi, delusi, sfiduciati, parlavano tra loro della speranza al passato. Così come, spesso, avviene ad ognuno di noi nel corso delle nostre vite, quando ci pare che i nostri sogni, ciò in cui credevamo e su cui avevamo scommesso, ci sembrano svanire e così ci abbandoniamo alla nostalgia e alla disillusione-delusione.

Ma avviene qualcosa di straordinario, si avvicina un misterioso compagno di viaggio che cerca di capire l’amarezza che affiora dai discorsi dei due e poi li rimprovera per non avere compreso le Scritture e quindi il senso di ciò che è avvenuto. Quando poi, durante la cena, l’ospite spezza il pane e lo benedice allora il Signore è riconosciuto dai due discepoli, ma come misteriosamente era apparso altrettanto repentinamente scompare ai loro occhi.

A questo punto avviene la cosa più bella, i due ripartirono per Gerusalemme per raccontare agli altri ciò che avevano vissuto. E dobbiamo immaginarci i due che corrono nella notte  per strade certamente non asfaltate e nonostante la stanchezza della giornata appena vissuta, ma rinfrancati, senza più paure e con la gioia nel cuore di quell’incontro.

Rinasce la speranza. Gesù ci cerca per dirci che non ci ha abbandonato ma cammina con noi, di non avere paura, di non rinchiuderci nelle nostre nostalgie, ma di correre e aprirci al mondo perché non siamo più soli, l’incontro con Lui ci cambia e ci rende più forti. Tocca ad ognuno di noi saperLo e volerLo riconoscere.

Domenica, 6 aprile 2008

 

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CHIESA EVANGELICA VALDESE


 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

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