"La Parola di Dio rivendica il mio tempo, Dio stesso è entrato nel tempo e ora vuole che anch'io gli dia il mio tempo. L'essere cristiano non è questione di un momento, ma necessita di tempo" (Dietrich Bonhoeffer).

(Venerdì, 5 febbraio 2016)

Napoli, 29 gennaio 2016

Siamo alla vigilia di un’altra guerra contro la Libia, “a guida italiana” questa volta. Sembra ormai assodato che le Forze Speciali SAS sono già in Libia, per preparare l’arrivo di mille soldati britannici. L’operazione complessiva, capitanata dall’Italia, dovrebbe coinvolgere seimila soldati americani ed europei per bloccare i cinquemila soldati dell’Isis. Il tutto verrà sdoganato come “ un’operazione di peacekeeping e umanitaria ”. L’Italia, dal canto suo, ha già trasferito a Trapani quattro cacciabombardieri AMX pronti a intervenire. Il nostro Paese – così sostiene il governo Renzi – attende però per intervenire l’invito del governo libico di unità nazionale, presieduto da Fayez el Serray. E altrettanto chiaro che sia il ministro degli Esteri, Gentiloni, come la ministra della Difesa, Pinotti, premono invece per un rapido intervento.

Sarebbe però ora che il popolo italiano, tramite il Parlamento, si interrogasse, prima di intraprendere un’altra guerra contro la Libia. Infatti, se c’è un popolo che la Libia odia, siamo proprio noi che, durante l’occupazione coloniale, abbiamo impiccato o fucilato centomila libici. A questo dobbiamo aggiungere la guerra del 2011 contro Gheddafi per “esportare la democrazia”, ma in realtà per mettere le mani sull’ oro ‘nero’ di quel Paese.

Come conseguenza, abbiamo creato un disastro, facendo precipitare la Libia in una spaventosa guerra civile, di tutti contro tutti, dove hanno trovato un terreno fertile i nuclei fondamentalisti islamici. Con questo passato, abbiamo, noi italiani, ancora il coraggio di intervenire alla testa di una coalizione militare?

Il New York Times del 26 gennaio scorso afferma che gli USA da parte loro, sono pronti a intervenire. Per cui possiamo ben presto aspettarci una guerra. Questo potrebbe anche spiegare perché in questo periodo gli USA stiano dando all’Italia armi che avevano dato solo all’Inghilterra. L’Italia sta ricevendo, infatti, dagli USA missili e bombe per armare i droni Predator MQ- 9 Reaper, armi che ci costano centinaia di milioni di dollari. Non dimentichiamo che la base militare di Sigonella (Catania) è oggi la capitale mondiale dei droni usati oggi anche per spiare la Libia.

L’Italia non solo riceve armi, ma a sua volta ne esporta tante soprattutto all’Arabia Saudita e al Qatar, che armano i gruppi fondamentalisti islamici come l’ISIS. I viaggi di Renzi, lo scorso anno, in quei due Paesi hanno propiziato la vendita di armi. Questo in barba alla legge 185 che proibisce al governo italiano di vendere armi a Paesi in guerra e che non rispettano i diritti umani (l’Arabia Saudita non rispetta i diritti umani e fa la guerra in Yemen).

Per cui diventa pura ipocrisia per l’Italia intervenire militarmente in Libia per combattere l’Isis, quando appare chiaro che siamo noi ad armarlo. È così che siamo noi a creare i mostri e poi facciamo nuove guerre per distruggerli. “La guerra è proprio la scelta per le ricchezze- ha detto recentemente papa Francesco. Facciamo armi: così l’economia si bilancia un po’ e andiamo avanti con il nostro interesse. C’è una brutta parola del Signore. Maledetti coloro che operano per la guerra, che fanno le guerre: sono maledetti, sono delinquenti!”.

Basandoci su questa lettura sapienziale, dobbiamo dire NO a questa nuova guerra contro la Libia. Quello che ai poteri forti interessa non è la tragica situazione del popolo libico, ma il petrolio di quel Paese.

Dobbiamo tutti mobilitarci!

In questo momento così grave, è triste vedere il movimento per la pace frantumato in mille rivoli.

Oseremo metterci tutti insieme per esprimere con un’unica voce il nostro NO alla guerra contro la Libia, un NO a tutte le guerre che insanguinano il nostro mondo.

È possibile un incontro a Roma di tutte le realtà di base per costruire un coordinamento o un Forum nazionale contro le guerre?

È possibile pensare a una manifestazione nazionale contro tutte le guerre, contro la produzione bellica italiana, contro la vendita di armi all’Arabia Saudita e al Qatar, in barba alla legge 185? E contro le nuove bombe atomiche in arrivo all’Italia, le B61-12.

È possibile pensare a una Perugia-Assisi 2016, retaggio storico di Capitini, sostenuta e voluta da tutto il movimento per la pace?

Smettiamola di “farci la guerra” l’un con l’altro e impariamo a lavorare in rete contro questo Sistema di morte. “La guerra è un affare – ha detto recentemente papa Francesco – I terroristi fabbricano armi? Chi dà loro le armi? C’è tutta una rete di interessi, dove dietro ci sono i soldi o il potere. Io penso che le guerre sono un peccato, distruggono l’umanità, sono la causa di sfruttamento, traffici di persone. Si devono fermare”.

(Giovedì, 4 febbraio 2016)

 

Il 2 ottobre 1955, il sindaco di Firenze, Giorgio La Pira, nel Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio, pronunciò questo storico discorso davanti ai sindaci delle capitali di tutto il mondo. La sua "forza" morale e politica è ancora viva e attuale.

«Signori Sindaci, tutto quello che ho detto intorno al valore della città umana, non è stato detto per affrontare i termini culturali di un problema tanto vasto e di tanto peso: è stato detto, invece, per porre la premessa della questione fondamentale che sta alla base di questo Convegno fiorentino. Questione che solo ora, nel nostro tempo, a causa degli strumenti di distruzione connessi con la tecnica nucleare, viene posta nei suoi termini più attuali e più drammatici. E la questione è la seguente: quale è il diritto che le generazioni presenti possiedono sulle città da esse ricevute dalle generazioni passate? La risposta, è chiaro, non può essere che questa: è un diritto di usare, migliorandolo e non distruggendolo o dilapidandolo, un patrimonio visibile ed invisibile, reale ed ideale, ad esse consegnato dalle generazioni passate e destinato ad essere trasmesso – accresciuto e migliorato – alle generazioni future. Usare, migliorare e ritrasmettere la casa comune! Si tratta di una eredità fedecommissaria, direbbero i giuristi romani: le generazioni presenti ne sono gli eredi fiduciari; quelle venture, gli eredi fedecommissari.

Eccoci, Signori, al nodo del nuovissimo e massimo problema, in certo senso, che presenti la storia attuale: problema che è insieme, inscindibilmente teologico, morale, giuridico, politico, militare e storico. Per noi Sindaci, come per i popoli che noi rappresentiamo, la soluzione di questo problema non presenta dubbi di sorta. Le città non possono essere destinate alla morte: una morte, peraltro, che provocherebbe la morte della civiltà intiera. Esse non sono cose nostre di cui si possa disporre a nostro piacimento: sono cose altrui, delle generazioni venture, delle quali nessuno può violare il diritto e l’attesa. Nessuno, per nessuna ragione, ha il diritto di sradicare le città dalla terra ove fioriscono: sono – lo ripetiamo – la casa comune che va usata e migliorata; che non va distrutta mai! Ed eccoci, signori Sindaci, proprio alla radice di questo Convegno singolare: lo scopo cui esso mira sta tutto qui: e cioè nel riscoprire il valore ed il destino delle città e nell’affermare il diritto inalienabile che hanno sopra di esse le generazioni venture: nell’affermare, perciò, che le generazioni presenti non hanno il diritto di dilapidarle o di distruggerle.»

(Sabato 16 gennaio 2016)

Per poter gustare il tutto, non cercare il gusto in nulla.

Per poter possedere il tutto, non voler possedere nulla.

Per poter essere tutto, non voler essere nulla.

Per poter conoscere il tutto, non voler sapere nulla.

Per raggiungere ciò che ora non godi, devi passare per dove non godi.

Per arrivare a ciò che non sai, devi passare per dove non sai.

Per arrivare al possesso di ciò che non hai, devi passare per dove non hai.

Per giungere a ciò che non sei, devi passare per dove non sei.

(San Giovanni della Croce - Salita al Monte Carmelo)

(Sabato, 2 gennaio 2016)

 

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