"Il dovere del rispetto", una bella lezione di laicità e di pluralismo in una lettera di credenti impegnati
Condivido in pieno il testo di questa lettera.
Condivido in pieno il testo di questa lettera.
“Egli ha operato potentemente con il suo braccio: ha disperso quelli che erano superbi nei pensieri del loro cuore, ha detronizzato i potenti e ha innalzato gli umili” (dal Cantico di Maria - Luca 1, 46-55).
“L'arco dei potenti è spezzato, ma quelli che vacillano sono rivestiti di forza” (dal Cantico di Anna – 1Samuele 2, 1-10).
E’ lo stile di Dio, scegliere le persone miti, gli ultimi, i più deboli per esaltare la Sua giustizia e la Sua grazia. A partire da Israele, un piccolissimo popolo raccogliticcio, che è stato eletto tra molti e più potenti popoli come l’amante di Dio, per andare a Mosè, un uomo balbuziente, a Giacobbe a Saul e Davide, gli ultimi delle loro famiglie, a Maria e Gesù, agli apostoli. E’ la storia della salvezza che attraversa l’umanità nel testo biblico, o anche il testo biblico che attraversa la storia dell’umanità. Se anche non dovessimo leggere la Scrittura come un testo di fede, si rimane stupiti di come ogni volta ci si trovi di fronte a un Dio ostinato pronto a sparigliare le carte, a cambiare idea, a ripartire ed a tendere la sua mano per tornare a parlare con l’umanità dolente indicandole la via della pace e della felicità. E questo dialogo non riparte mai dai potenti di questo mondo, dai capi di stato, dai sapienti, nemmeno dai papi e dai teologi. Dio si affida sempre, come penso direbbe Haim Baharier, alle persone “claudicanti” a coloro che mancano di qualcosa perché poi possano essere ricolmi di benedizioni e, a loro volta, benedire tutto il Creato. Dio sa che il potere inebria chi lo possiede e lo spinge verso l’idolatria. Gli idolatri non si curano degli altri uomini, ma si interessano solamente a loro stessi e, al massimo, a coloro che fanno parte del loro clan. Sono esseri pronti a sacrificare al loro “culto” tutto, ogni essere vivente e ogni cosa, pur di accrescere il loro potere e/o la loro ricchezza materiale. In Luca 4, 5-8, il diavolo tenta Gesù dicendogli che a lui appartengono tutti i regni di questo mondo e che se si fosse piegato tutto sarebbe stato suo. Quanti cadono, ogni giorno, davanti a questa massima e terribile tentazione: “piegati al male e tutti i regni di questo mondo saranno tuoi”. Ma, per fortuna, Dio non ragiona così: “Infatti i miei pensieri non sono i vostri pensieri, né le vostre vie sono le mie vie, dice il Signore” (Isaia 55, 8-9). E’ per questo che possiamo continuare ancora a sperare, perché “Dio può far sorgere figli di Abramo da queste pietre” (Matteo 3,9). Questa è la meraviglia di Dio.
(Sabato, 13 luglio 2019)
C'è un senso del limite nell'umano che non è possibile varcare. Chi frequenta il testo biblico lo conosce bene. Adamo ed Eva persero l'innocenza perchè oltrepassarono un limite, perchè desideravano divenire Dio. Quando il limite è oltrepassato il male può diventare incontrollabile e l'onnipotenza di Dio, come afferma qualcuno, diventa "onnidebolezza". Il primo limite da non oltrepassare è quello delle parole. Lo notiamo nelle nostre vite quotidiane, quando le parole vanno oltre si crea una rottura che può trasformarsi anche in violenza e morte. Purtroppo, la nostra attuale vita sociale, civile e politica sta vivendo di un continuo "sconfinamento" e "scivolamento" del limite del linguaggio. Si può anche essere accusati di essere "politicamente corretti" o "buonisti", ma quando si sdoganano parole d'ordine e slogan contro altri esseri umani e tanti altri esseri umani applaudono seguendo acriticamente, come moltitudini e come un sol uomo, il "capo", significa che abbiamo un grande problema che ci obbliga a fare una riflessione, ma anche ad agire, a fare la nostra parte per sensibilizzare le coscienze evitando di rimanare spettatori passivi. Quando, per accrescere il proprio egoistico potere, si crea ogni giorno un nemico, significa che abbiamo preso una deriva pericolosa le cui conseguenze non siamo in grado di prevedere, ma che possiamo ancora prevenire. Ci è di monito la poesia "la primavera hitleriana" che Eugenio Montale compose in occasione dell'incontro tra Mussolini e Hitler a Firenze il 9 maggio 1938.
Folta la nuvola bianca delle falene impazzite
turbina intorno agli scialbi fanali e sulle spallette,
stende a terra una coltre su cui scricchia
come su zucchero il piede; l'estate imminente sprigiona
ora il gelo notturno che capiva
nelle cave segrete della stagione morta,
negli orti che da Maiano scavalcano a questi renai.
Da poco sul corso è passato a volo un messo infernale
tra un alalà di scherani, un golfo mistico acceso
e pavesato di croci a uncino l'ha preso e inghiottito,
si sono chiuse le vetrine, povere
e inoffensive benché armate anch'esse
di cannoni e giocattoli di guerra,
ha sprangato il beccaio che infiorava
di bacche il muso dei capretti uccisi,
la sagra dei miti carnefici che ancora ignorano il sangue
s'è tramutata in un sozzo trescone d'ali schiantate,
di larve sulle golene, e l'acqua séguita a rodere
le sponde e più nessuno è incolpevole.
Tutto per nulla, dunque? – e le candele
romane, a San Giovanni, che sbiancavano lente
l'orizzonte, ed i pegni e i lunghi addii
forti come un battesimo nella lugubre attesa
dell'orda (ma una gemma rigò l'aria stillando
sui ghiacci e le riviere dei tuoi lidi
gli angeli di Tobia, i sette, la semina
dell'avvenire) e gli eliotropi nati
dalle tue mani – tutto arso e succhiato
da un polline che stride come il fuoco
e ha punte di sinibbio....
Oh la piagata
primavera è pur festa se raggela
in morte questa morte! Guarda ancora
in alto, Clizia, è la tua sorte, tu
che il non mutato amor mutata serbi,
fino a che il cieco sole che in te porti
si abbàcini nell'Altro e si distrugga
in Lui, per tutti. Forse le sirene, i rintocchi
che salutano i mostri nella sera
della loro tregenda, si confondono già
col suono che slegato dal cielo, scende, vince -
col respiro di un'alba che domani per tutti
si riaffacci, bianca ma senz'ali
di raccapriccio, ai greti arsi del sud...
(Sabato, 22 giugno 2019)
Ieri pomeriggio, insieme ad una bella comunità di amici, abbiamo affrontato il tema della sofferenza, della malattia. E’ uscito fuori il modo assolutamente personale con il quale ognuno di noi affronta e trascende la propria sofferenza e anche quella degli altri. Ma una domanda, secondo me, è rimasta insoluta: come ci poniamo davanti alla malattia che non perdona, che, dal punto di vista medico, è inguaribile, alla morte di bimbi e ragazzi, e non solo, ma anche davanti alla sofferenza che abbrutisce le persone e le isola rendendole scarti della società? Umanamente ci sentiamo, probabilmente, impotenti e sconfitti, ma c’è qualcosa, Qualcuno che può liberarci da questa nostra umiliazione: è la fede nel Signore Gesù. Non è semplicemente una consolazione, ma una vera e propria liberazione. Ci hanno sempre detto e, ancora molti di noi restano esclusivamente legati a questa concezione, che la sofferenza redime, che dobbiamo offrire i nostri dolori a Dio, che nella sofferenza siamo salvati. Ciò però rimane ancora al livello della consolazione, ma Gesù non si è limitato a consolare, ha guarito tutti coloro che ha incontrato sulla propria strada e non solo fisicamente, ma anche spiritualmente liberandoli dal peso della loro cecità, della loro sordità, delle catene morali a cui erano attaccati. E continua a farlo ancora oggi. Gesù vuole la nostra felicità e sa, e lo ha dimostrato, che essere felici significa stare bene nel corpo e nell’anima. Certo se soffriamo possiamo rivolgerci a Lui, con il senso della condivisione dei suoi dolori, perché Lui ci capisce avendo assunto la nostra condizione umana e avendo sofferto in modo atroce sulla croce, ma Gesù ci vuole felici, perché è il Signore dei vivi, non dei morti, per questo è venuto. Se soffriamo, Lui soffre con noi, ci sta vicino e anche nel momento della morte fisica ci accompagna verso una felicità che è fuori dal tempo e dallo spazio. Proprio per donarci questa libertà e questa felicità ha vissuto la Sua esperienza terrena sino in fondo non tirandosi indietro, ma consegnandosi spontaneamente al più atroce e infamante dei patiboli.
Anche nel discorso della montagna (Matteo 5,1-7,29) o della pianura (Luca 6,17-49), pure richiamato ieri, Gesù ci spiega il modo con il quale possiamo essere “beati”, “felici”. E’ una beatitudine al contrario, rispetto al comune modo di pensare, ma è felicità vera. Gesù non ci dice che dobbiamo soffrire per essere felici, ma che l’autentica felicità richiede lo svuotamento, la “kenosi”, da tutte le nostre schiavitù. Non significa rassegnarci a tutto ciò che ci capita, ma liberarci dai lacci che ci impediscono di camminare, di essere veri uomini che vogliono vivere una vita piena e bella. E’ un percorso complicato, ma è anche questo il senso della “porta stretta” che non vuol dire dover passare per la sofferenza, il dolore e il lamento, ma cambiare stile di vita, convertirsi a un’esistenza migliore. “Il cristiano è il signore di tutte le cose, assolutamente libero, non sottoposto ad alcuno; il cristiano è servo zelantissimo in tutte le cose, sottoposto a tutti (Lutero – La libertà del cristiano).
(Sabato, 18 maggio 2019)