(Chiesa Evangelica Valdese di Catanzaro, domenica 26 novembre 2023)

2 Pietro 3,3-13

Care sorelle, cari fratelli,

proviamo all’inizio di questa meditazione di inquadrare il contesto nel quale la 2^ lettera di Pietro fu redatta.

Anzitutto, è ormai opinione concorde che la lettera non fu scritta da Pietro, l’apostolo di Gesù, anche se nello scorrere del testo l’autore ne rivendica la provenienza. Si tratta, con molta probabilità, di un caso di pseudoepigrafia, cioè di un testo scritto da qualcuno che ne intesta l’origine ad un altro autore ben più conosciuto ed autorevole.

Oggi come oggi ciò sarebbe considerato un plagio e anche una grave forma di violazione del diritto di autore. Ma, come sappiamo anche per quanto riguarda l’origine di tanti testi biblici, nei tempi passati questo atteggiamento era considerato normale. 

Un discepolo anche non proprio contemporaneo di un profeta o di un personaggio autorevole (come, per esempio, è avvenuto nel caso del libro del profeta Isaia che può essere scomposto in tre autonomi scritti ormai ben individuati a seconda dell’epoca di scrittura e anche dello sviluppo della teologia negli stessi delineata), prosegue l’opera del suo mentore intestatogli scritti che acquistano autorevolezza proprio per il riferimento alla medesima autorevolezza dello scrittore a cui sono formalmente ricondotti.   

E’ anche il caso della nostra 2^ lettera di Pietro. 

Ciò, si evince dal suo contenuto per il fatto che dice testualmente nel nostro versetto 4 che “i padri si sono addormentati” (quindi si ritiene che l’apostolo Pietro fosse già morto) e dalla notevole distanza dai contenuti e dalla teologia della 1^ lettera di Pietro (anch’essa peraltro probabilmente pseudoepigrafica).

Siamo di fronte ad un testo del 2° secolo d.C. il cui autore conosceva bene la lettera di Giuda di cui riprende molti dei contenuti.

Anche l’inserimento nel canone non ha avuto un consenso unanime, ma poi  Atanasio la incluse negli elenchi della 39^ lettera pasquale dell’anno 367 che ebbe un valore normativo. 

La 2^ lettera di Pietro è pervasa da una profonda preoccupazione. La chiesa è attraversata da tendenze gnostiche ed ereticali che negano la realtà di un ritorno del Signore.

Come già detto, siamo nel 2^ secolo, i Padri (ossia i primi testimoni della venuta di Gesù) sono ormai morti e si cerca di insinuare nei credenti la convinzione che la promessa del ritorno del Signore sia vana.

Molti di questi gruppi sostenevano che la vita nuova si verificasse già con il solo battesimo e che quindi non ci fosse più niente da aspettare.

La 2^ lettera di Pietro, con toni anche molto aspri, e la chiesa intraprendono una dura battaglia contro l’influsso di queste opinioni, provando a mantenere ferma la validità della promessa: Gesù Cristo tornerà nella gloria e aprirà le porte ad un mondo nuovo, ad una vita nuova all’insegna della giustizia e della pace.  

Per sostenere l’attualità della promessa della “parusia”, l’autore richiama nel testo dei nostri versetti alcuni passaggi biblici del primo e del nuovo testamento, mentendo in luce la smemoratezza volontaria degli oppositori.

Il mondo fu creato attraverso la parola di Dio, la stessa parola provocò la distruzione del mondo una prima volta, e sempre la stessa parola mantiene il mondo in cui ancora noi oggi viviamo.

C’è quindi un richiamo alla creazione e poi al diluvio universale narrato in Genesi nei capitoli da 6 a 8. 

Fermiamoci su alcuni aspetti di questo racconto.

Al versetto 10 del capitolo 7 di Genesi c’è scritto: “10 Trascorsi i sette giorni, le acque del diluvio vennero sulla terra”. 

Non ci viene detto però da quale giorno trascorsero gli ulteriori sette, ma se torniamo ai versetti da 5 a 9 dello stesso capitolo 7 troviamo: 

“5 Noè fece tutto quello che il SIGNORE gli aveva comandato.
6 Noè aveva seicento anni quando il diluvio delle acque inondò la terra. 7 Noè, con i suoi figli, con sua moglie e con le mogli dei suoi figli, entrò nell'arca per scampare alle acque del diluvio. 8 Degli animali puri e degli animali impuri, degli uccelli e di tutto quello che striscia sulla terra, 9 vennero delle coppie, maschio e femmina, a Noè nell'arca, come Dio aveva comandato a Noè.”

Possiamo dedurre quindi che i sette giorni partono da quando Noè con la sua famiglia  e con gli animali entrarono nell’arca. 

I giorni sono sette come quelli della creazione. E’ chiaro che ci viene detto che con il diluvio l’intento di Dio fu quello di realizzare una nuova creazione, una rigenerazione del genere umano che era arrivato ad una condizione estrema di corruzione e di degrado. 

“11 Or la terra era corrotta davanti a Dio; la terra era piena di violenza. 12 Dio guardò la terra; ed ecco, era corrotta, poiché tutti erano diventati corrotti sulla terra” (Genesi 6,11).

Ma di fronte a tutta quella violenza, Dio comunque adottò un criterio  assoluto di salvezza: la giustizia.

“7:1 Il SIGNORE disse a Noè: «Entra nell'arca tu con tutta la tua famiglia, perché ho visto che sei giusto davanti a me, in questa generazione” (Genesi 7,1).

Noè fu ritenuto dal Signore giusto e perciò gli fu concesso di salvarsi insieme alla sua famiglia. 

Giusto è chi opera nella giustizia e nell’amore, e la giustizia è richiamata nell’ultimo versetto del nostro testo come qualità dei nuovi cieli e della nuova terra che aspettiamo di abitare secondo la promessa del Signore.

Riprendendo proprio il nostro versetto 13:

13 Ma, secondo la sua promessa, noi aspettiamo nuovi cieli e nuova terra, nei quali abiti la giustizia.” (2 Pietro 3,13).

Noè, uscito dall’arca dopo il diluvio, offrì un sacrificio al Signore che reagì così: 

21 Il SIGNORE sentì un odore soave; e il SIGNORE disse in cuor suo: «Io non maledirò più la terra a motivo dell'uomo, poiché il cuore dell'uomo concepisce disegni malvagi fin dall'adolescenza; non colpirò più ogni essere vivente come ho fatto. 22 Finché la terra durerà, semina e raccolta, freddo e caldo, estate e inverno, giorno e notte, non cesseranno mai» (Genesi 8,21).

Grazie a quest’ultima parola cieli e terra, come ci ricorda la 2^ Pietro nel nostro testo, sono conservati e continuano a vivere. 

Ma possiamo dire che Dio si rassegnò definitamente alla violenza dell’uomo? I tempi di guerra che stiamo vivendo, come altri tempi della storia, ci potrebbero suggerire che in fondo Dio si, ha tirato, paradossalmente e quasi ironicamente con la stessa storia del diluvio, i remi in barca e lascia l’uomo nella condizione di una sofferenza senza senso a causa di un male senza senso (anche se possiamo aggiungere alla nostra riflessione: c’è una sofferenza o un male che abbia un senso?). 

Il versetto della Genesi non ci dice però che la terra durerà sempre, ma che “finché la terra durerà”. Questa durata è nella decisione sovrana del Signore. 

Solo Lui può stabilire quando il mondo nuovo, abitato definitivamente dalla giustizia, potrà sorgere eliminando definitivamente il male alla radice.

Ma quando tutto ciò avverrà?

E, qui, I versetti del nostro testo capovolgono quelli del Salmo 90,4 che recita:

“Perché mille anni sono ai tuoi occhi
come il giorno di ieri ch'è passato,
come un turno di guardia di notte.”

ma ne mantengono però il senso. Il nostro Dio, è il Dio della storia,  in questa storia la dimensione del tempo ha importanza, ma non è un assillo per il Signore. Non ha fretta, ha pazienza, ci aspetta, spera che la sua parola non sia pronunciata invano. 

Accoglie anche le nostre infedeltà, proponendoci il ravvedimento, il ritorno a Lui e la riparazione.

C’è un importante termine ebraico “Teshuvà”, spesso impropriamente tradotto come pentimento, che significa proprio ritorno al Signore, accompagnato dalla  riparazione. Un percorso che dal male fatto fa la strada inversa per ritornare al bene.

Dio non vuole che alcuno di noi perisca, ma desidera che ognuno di noi giunga a Lui proprio come il giusto Noè.

La fine del diluvio segna l’inizio di un nuovo tempo di attesa del Signore, un tempo in cui si consumano, si sono consumate  e si consumeranno malvagità e corruzione, ma anche un tempo in cui con la rivelazione di Gesù Cristo ci è stata aperta una nuova speranza, ci è stato dato altro tempo, ci sono state consegnate le chiavi della giustizia.

Però, possiamo stare certi che anche la fine di questo tempo giungerà. Il problema è non farci trovare impreparati, inadeguati di fronte all’ultimo appello del Signore. 

Quando il Signore tornerà e ci chiamerà saremo pronti? Avremo una postura integra in grado di accoglierlo con gioia? Di sentirci  finalmente e definitivamente liberati?

Io vi dico che renderà giustizia con prontezza. Ma quando il Figlio dell'uomo verrà, troverà la fede sulla terra?» (Luca 18,8).

In questo nostro tempo in cui viviamo l’esperienza della nostra vita su questa terra dovremmo porci questi interrogativi, perché ciò che conta, in vista del Regno, è ciò di cui facciamo esperienza qui, il modo di attraversare questo nostro passaggio, i nostri desideri, la direzione che prendiamo. 

La nostra morte sarà, comunque, il punto di separazione tra una dimensione che adesso vediamo, se pure in maniera imperfetta, e l’altra dimensione che ancora non vediamo ma che, una volta attraversata la “porta dello spavento supremo” (come cantava Franco Battiato), vedremo con chiarezza assoluta. Ed è proprio sullo stile con cui abbiamo vissuto che saremo giudicati, che ci metterà o meno nella condizione di assaporare la giustizia ancora più grande nel Regno.

E l’autore della 2^ Pietro ci mette in guardia, richiama la nostra capacità di rimanere vigili: “Il giorno del Signore verrà come un ladro”.

Gesù, nel corso del sua predicazione ha richiamato a questa vigilanza costante. Nella parabola delle dieci vergini, lo sposo arriva di sorpresa ad un’ora imprevista quando alcune di loro erano uscite per compare l’olio che mancava e sono, quindi, costrette a rimanere fuori.

Lo abbiamo già ascoltato in Matteo 25,13: Gesù ci dice Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora”.   

In Luca 17,26-30, Gesù richiamando ancora il racconto del diluvio si esprime così:

26 Come avvenne ai giorni di Noè, così pure avverrà ai giorni del Figlio dell'uomo. 27 Si mangiava, si beveva, si prendeva moglie, si andava a marito, fino al giorno che Noè entrò nell'arca, e venne il diluvio che li fece perire tutti. 28 Similmente, come avvenne ai giorni di Lot: si mangiava, si beveva, si comprava, si vendeva, si piantava, si costruiva; 29 ma nel giorno che Lot uscì da Sodoma piovve dal cielo fuoco e zolfo, che li fece perire tutti. 30 Lo stesso avverrà nel giorno in cui il Figlio dell'uomo sarà manifestato. 

Non c’è però alcuna intenzione in Gesù di creare allarme, di spaventare i suoi ascoltatori, le sue sono parole che discendono dall’amore che nutre per tutti gli uomini e tutte le donne, dal desiderio che tutti e tutte si salvino.

Ci vuole dire che accogliere la sua Parola, che stare nel suo Amore non è una cosa che ha scadenza nel tempo, ma è qualcosa che coinvolge per intero le nostre vite, ogni nostro respiro.

La fede in Lui è una cosa seria, Se desideriamo la libertà dobbiamo stare con Lui e in Lui.

Rispetto ai versetti di questa domenica, noi, che siamo ancora più distanti temporalmente, siamo chiamati a maggior ragione a chiederci: Gesù davvero tornerà, dobbiamo ancora aspettarlo?

Ci sono parole che ormai facciamo fatica anche a pronunciare, resurrezione, regno dei cieli. Le abbiamo accantonate in un cantuccio del nostro subconscio. Magari riusciamo a balbettare qualcosa quando siamo in chiesa, ma nel quotidiano abbiamo addirittura paura a pronunciarle per paura di essere derisi, come fecero gli ateniesi derisero Paolo nel racconto degli Atti.

Nella speranza contenuta in queste parole però risiede e risuona la nostra fede, perché se restiamo muti la nostra fede, come dice Paolo, è davvero vana.

Gesù ci ha aperto le porte del Regno e ce lo fa anche intravedere in questa terra quando le nostre vite sono proiettate in direzione della giustizia e dell’amore, quando non ci facciamo abbrutire nelle trappole dell’odio, della violenza, della vendetta. Siamo ancora però nella dimensione del già, ma del non ancora, perché aspettiamo proprio il passaggio da questa vita terrena ad una vita in cui sofferenza, male e ingiustizia saranno definitivamente distrutte.

Con le nostre vite, come scritto nei versetti della Lettera, possiamo addirittura affrettare l’avvento del Regno, ma possiamo anche colpevolmente ritardarlo. 

Il Signore ci prepara questo Regno, attraverso un fuoco che brucerà tutto ciò che ci separa da Lui e dal prossimo.

Possiamo allora concludere richiamando le ultime parole dell’Apocalisse: “Vieni Signore Gesù” (Apocalisse 22, 20). 

Amen

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