La politica italiana, sia a livello locale che nazionale, è sempre più ripiegata sulla logica pura del consenso. Intendiamoci, non parlo del consenso sui programmi, sulle idee, su una visione. Su questo si fonda la radice della democrazia che è il confronto e la scelta tra diversi e alternativi modi di vedere e di intendere la società e il suo governo.  Intendo, invece, riferirmi al consenso spicciolo, quello su piccoli e grandi favori, su promesse mirabolanti e ingannatrici, in una parola al voto di scambio. I frutti avvelenati di questo sciagurato modo di intendere la politica sono sotto gli occhi di tutti, oggi più che mai di fronte alle bare delle vittime provocate dall’alluvione del messinese. Si, perché per un pugno di voti si permette di costruire dove il territorio non lo consente, non si abbattono le costruzioni illegali, si permette di inquinare e deturpare l’ambiente e la salute dei cittadini, si coopta una burocrazia che non può e non riesce a svolgere il proprio dovere, si violano i più elementari principi della convivenza civile. Il fenomeno assume una connotazione ancora più devastante nelle nostre regioni meridionali, dove il bisogno è più grande e dove il politico di turno è visto come colui che può “aiutarti” che ti può “risolvere il problema”. E, allora, il consenso diventa l’arma letale per acquisire un potere fine a se stesso che non ha nulla che fare con il servizio alla comunità. Non solo, il consenso diviene anche l’alibi per sfuggire alla proprie responsabilità: “ho il consenso dei cittadini, il popolo è con me”.

Questo modo di intendere la politica è purtroppo quasi universale, cioè praticato a destra, al centro e a sinistra. Per rimuoverlo servirebbe un nuovo grande patto sociale e politico. A sottoscriverlo dovrebbero essere prima di tutto i grandi partiti su alcuni punti fermi fondamentali, la condivisione di un rigoroso codice etico al centro del quale ci sia l’affermazione della responsabilità e del rifiuto di ogni logica di “do ut des”, del dare per avere. Si potrebbe aprire una nuova stagione della politica su un terreno comune di rispetto e di giustizia, dove ogni partito si proporrebbe ai cittadini in maniera trasparente ed esclusivamente sulla base del proprio programma di governo. E bisognerebbe partire proprio dalla nostra terra di Calabria. Nel 2010 ci sono le elezioni regionali: sarebbe un bel modo di tentare di risalire la china, proponendo candidati limpidi e cristallini, evitando di illudere ancora una volta i calabresi. Ma ci vorrebbe pure una cittadinanza più attiva, meno “sensibile” alle sirene dei “politicanti” e ai richiami dei possibili vantaggi personali, più esigente di buona amministrazione, più consapevole che amministrando bene la cosa pubblica si cura meglio anche il proprio interesse.

E’ utopia? Non lo so. Ma per riscattarsi forse c’è di nuovo bisogno di sognare.   

(Sabato, 10 ottobre 2009)

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