(Chiesa Evangelica Valdese di Catanzaro, domenica 18 giugno 2023)

Il lezionario “Un giorno, una Parola”, ci propone per la predicazione di questa 3^ domenica dopo Pentecoste un brano tratto dall’evangelo di Luca, Luca 14,15-24.

Care sorelle e cari fratelli,

La versione della Bibbia Nuova Riveduta 2006 da un titolo preciso al passo del Vangelo di Luca che abbiamo letto: “Parabola del gran convito”.

In effetti, ci troviamo di fronte ad una celebre parabola di Gesù.

Yann Redaliè, biblista e pastore protestante svizzero, tra l’altro è docente emerito di Nuovo testamento presso la Facoltà Valdese di Roma, ha definito le parabole di Gesù paragonandole a delle fictions.

Molti di noi sono appassionati di fictions.

Se ci pensiamo bene, Gesù è stato davvero un grande narratore di fictions.

Così, in un linguaggio moderno, potremmo definire le parabole.

Sono storie che in ogni tempo trovano le forme adeguate per essere raccontate.

Raccontava delle storie, prese con riferimento alla vita concreta e che avevano una trama completa e compiuta, e li affidava alla libera interpretazione del suo uditorio.

Però, erano storie che trasformavano, che non lasciavano mai le persone nello stato in cui erano prima del racconto, che comunque ponevano degli interrogativi.

Avevano un effetto di spiazzamento, tant'è che anche i suoi discepoli talvolta rimanevano interdetti e sentivano il desiderio di chiedere a Gesù stesso la spiegazione del messaggio che la parabola conteneva.

Proprio come accade anche a noi oggi, quando ci mettiamo ai piedi del Maestro con il medesimo desiderio di ascoltare e comprendere la Sua Parola.

Anche la parabola del gran convito non si sottrae a questo schema.

Gesù narra una storia, abbiamo un gruppo di persone che ascolta, c’è una conclusione che però lascia aperta la porta alle domande, che non lascia tranquilli e tranquille coloro che ne hanno seguito lo svolgimento.

Per introdurci a questa storia dobbiamo fare un passo indietro all’inizio del capitolo 14. Purtroppo, non abbiamo tutto il tempo necessario ad approfondire ma non mancheranno di certo altre occasioni. Gesù era in casa di un importane esponente dei farisei, per prendere cibo (era stato invitato a pranzo). Era di sabato. Dapprima Gesù ha davanti un idropico e chiede ai suoi interlocutori se fosse lecito fare guarigioni nel giorno di sabato. Non avendo ottenuto risposta prese per mano l’uomo e lo guarì. Gesù prende per mano, tocca le persone, non osserva e comanda a distanza, guarisce perché ha compassione per ogni sofferenza. Poi la domanda chiave: “chi di voi, se gli cade nel pozzo un figlio o un bue, non lo tira fuori in giorno di sabato?” (Luca 14, 5). Anche a questa domanda, nessuno rispose perché “non potevano rispondere nulla in contrario” (Luca 14,6).

Quindi Gesù è ospitato nella casa di un fariseo influente, la guarigione in giorno di sabato di una persona gli poteva provocare qualche guaio, ma non per questo si tira indietro, consapevole del rischio, nella Sua libertà e autorevolezza, non rinuncia ad affermare e a dimostrare che il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato, che l’amore per il prossimo annulla ogni distanza anche di carattere religioso.

Restiamo sempre nella casa di questa “importante” persona farisea. Gesù nota come si muovono gli invitati, sempre alla caccia dei primi posti, della visibilità ad ogni costo, del voler essere sempre al centro dell’attenzione, e attraverso delle parole che potrebbero sembrare dei consigli di semplice galateo, li raccomanda, quando saranno invitati, a mettersi all’ultimo posto “Poiché chiunque si innalza sarà abbassato e chi si abbassa sarà innalzato(Luca 14,11). No, non è banale galateo ma un insegnamento che invita a mantenersi, a mantenerci sempre umili, a conservare costantemente un atteggiamento di grande discrezione, a non esaltarci, perché è il Signore che, quando lo riterrà, ci chiamerà, ci inviterà ad andare avanti e allora la nostra gioia sarà davvero grande. 

Gesù, però, non solo invita all’umiltà personale, a stare in fondo, a scegliere gli ultimi posti, a non innalzarsi per non essere abbassati, a comprenderci limitati nella nostra debole e fallace realtà umana, ma, sempre prendendo spunto da un banchetto, che è sempre stato una componente importante delle relazioni umane, anche a comportaci abbandonando l'ottica dello scambio continuo, della permanente ricerca del nostro interesse, di ricevere sempre qualcosa in più per ogni nostro “dono”, del guadagno per ogni cosa che facciamo, ma a deporre questi atteggiamenti, a comprendere che se doniamo, se facciamo qualcosa a favore di un nostro simile, di una nostra simile, della comunità, siamo chiamati a farlo senza speranza di ottenerne il contraccambio. Solo con questo spirito di libertà e di disinteresse potremo ottenere il guadagno massimo, quello che ha più valore in assoluto, la ricompensa che non ha davvero uguali e che ci può far già assaporare la bellezza del Regno: «12 Diceva pure a colui che lo aveva invitato: «Quando fai un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i vicini ricchi; perché essi potrebbero a loro volta invitare te, e così ti sarebbe reso il contraccambio; 13 ma quando fai un convito, chiama poveri, storpi, zoppi, ciechi; 14 e sarai beato, perché non hanno modo di contraccambiare; infatti il contraccambio ti sarà reso alla risurrezione dei giusti» (Luca 14,12-14).

La parola di Gesù si svolge dunque in questa cornice di convivialità. Il Signore accettava volentieri gli inviti ai banchetti perché erano l’occasione per ascoltare i suoi interlocutori e predicare l’avvento del Regno.

All’inizio del capitolo 14, dunque, ci viene detto che Gesù era in casa di un importante fariseo. Gesù era un amico dei farisei, più volte è stato loro ospite. Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo erano farisei e membri del Sinedrio. Insomma Gesù amava i farisei, però il suo amore non gli impediva di pronunciare e annunciare la Parola, di dire la Verità.

Oggi noi, quando vogliamo definire una persona ipocrita spesso lo apostrofiamo ingiustamente come “fariseo”. Siamo talvolta vittime di un retaggio “religioso” che nei secoli ci ha inculcato un certo modo stereotipato di inquadrare persone e storie. Certo Gesù non ha avuto peli sulla lingua nei confronti dei suoi amici, ma gli amici fanno proprio così perché amano chi sta loro vicino e proprio per questo non possono tacere. Gesù aveva ben chiara quale era la Sua missione, quella di proclamare il Regno e non poteva farlo se non iniziando dalle persone a Lui più prossime: i farisei appunto.    

Ed era sicuramente un fariseo l’uomo che esclama, all’inizio del nostro testo «Beato chi mangerà pane nel regno di Dio!»

Possiamo dire che nei confronti di questo fariseo, la predicazione fatta da Gesù durante quel banchetto non era caduta nel vuoto. Aveva probabilmente compreso l’essenza delle parole di Gesù. Ma il Signore non gli dice “bravo, hai capito quello che volevo dire e questo valga per tutti gli altri”. No, Gesù non si accontenta e desidera aprire altre strade di comprensione, schiudere la via ad altre domande. 

Ora il Signore è qui anche davanti a noi, che ci riteniamo suoi amici e sue amiche, proprio come i farisei, e ci narra la “parabola del gran convito”. L’occasione di un banchetto tra amici, è propizia per raccontare una storia più grande, la storia del banchetto del Regno. 

C’è questo uomo che organizza una gran cena e invita molte persone. Immaginiamo l’orgoglio di questa persona, la soddisfazione per aver realizzato qualcosa di importante, la fiducia con la quale invia il suo servo dagli invitati a ricordare l’impegno, che già probabilmente avevano assunto prima, di partecipare a quel banchetto.

Nella tradizione del vicino e medio oriente, il servo della parabola era una sorta di ambasciatore, diffondeva in giro le notizie che il suo “padrone” desiderava si conoscessero. Il servo riceve l’ordine e va a dire agli invitati “Venite, perché è tutto pronto”. Teniamo bene a mente questa espressione contenuta nell’ambasciata del servo “perché tutto è già pronto”.

Ma paradossalmente gli invitati della “prima ora”, oppongono non un vero e proprio rifiuto, ma una giustificazione. Chiedono al padrone, attraverso il servo, di essere scusati perché hanno dei buoni motivi, magari sopraggiunti, per essere esonerati dal banchetto.

E, quali sono queste giustificazioni? Il primo gli disse: "Ho comprato un campo e ho necessità di andarlo a vedere; ti prego di scusarmi". 19 Un altro disse: "Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego di scusarmi". 20 Un altro disse: "Ho preso moglie, e perciò non posso venire”.

Erano tutte e tre scuse comprensibilissime che erano, teoricamente, in grado di giustificare l’assenza dalla gran cena.

Infatti, nel libro del Deuteronomio, anche se non perfettamente sovrapponibili ma ne possiamo comprendere il senso, sono elencati tre casi in cui gli uomini potevano evitare il servizio militare.

Al capitolo 20, versetti da 5 a 7, leggiamo “5 Poi i responsabili parleranno al popolo, e diranno: «C'è qualcuno che ha costruito una casa nuova e non l'ha ancora inaugurata? Vada, torni a casa sua, perché non muoia in battaglia e sia un altro a inaugurare la casa. 6 C'è qualcuno che ha piantato una vigna e non ne ha ancora goduto il frutto? Vada, torni a casa sua, perché non muoia in battaglia e sia un altro a godere il frutto della vigna. 7 C'è qualcuno che si è fidanzato con una donna e non l'ha ancora presa? Vada, torni a casa sua, perché non muoia in battaglia e un altro se la prenda»

Quindi se questi motivi erano sufficienti per evitare il servizio militare, figuriamoci l’assenza ad un banchetto. 

I farisei, profondi conoscitori della Torà, erano perfettamente in grado di capire cosa Gesù stava dicendo loro e noi pure adesso possiamo riflettere su tutte le scuse che pensiamo ci possano sempre giustificare dal rispondere alla chiamata.

Ma, torniamo alla frase del servo che cambia tutto “Venite, perché tutto e già pronto”. 

E’ tutta qui la differenza “tutto è già pronto”, cioè è urgente, l’appuntamento non è più rinviabile, non si possono accampare le solite giustificazioni. 

“Tutto è già pronto”: in quattro parole c’è tutta differenza del mondo.

Cambia radicalmente la prospettiva, c’è un’esigenza che non può più attendere.

E infatti, dopo che il servo riferisce le scuse degli invitati, il padrone di casa si adira. E’ un’espressione che descrive tutta la sua delusione, anche la sua frustrazione, per quegli inviti andati a male. La delusione, la frustrazione è rivolta però verso quegli invitati che non hanno compreso l’importanza dell’invito, che non sono riusciti a cogliere cosa si perdono. La valenza dell’invito a quella cena supera ogni motivazione che potesse giustificarne l’assenza. 

“Tutto è già pronto”: allora se tutto è pronto niente può essere sprecato, niente deve andare a male. Il padrone di casa non resta fermo, il suo amore, la dedizione che aveva messo nel preparare il banchetto, non possono essere soffocati dal rifiuto, dalle scuse di coloro che si sono dimostrati insensibili alla chiamata.

Allora manda il servo a raccogliere poveri, storpi, ciechi e zoppi. Il servo fa tutto quello che gli viene ordinato dal suo signore, ma rimangono ancora dei posti vuoti in casa. Il padrone gli dice. “Và fuori per le strade e per le siepi e costringili a entrare, affinché la mia casa sia piena” . 

“Affinchè la mia casa sia piena”. 

Nessuno, nessuna ha l’esclusiva dell’invito, la porta è aperta a tutti e tutte. Però è necessario decidersi. Il padrone di casa vuole che la sua casa sia piena e, proprio come Gesù ha raccomandato pochi versetti prima, fa entrare tutti e tutte. Lo fa in maniera disinteressata, non desidera alcun contraccambio, il suo è un gesto di incommensurabile amore. Il padrone della casa è davvero uno sprecone di amore.

Forse dietro le scuse, peraltro da un punta di vista formale ineccepibili come abbiamo visto prima, si nascondeva la paura di dover contraccambiare qualche tempo dopo. Anche noi, purtroppo, siamo abituati a queste pratiche. Facciamo o riceviamo un invito  o un dono e già contiamo sul fatto che prima o poi, appena capiterà l’occasione, saremo contraccambiati o dovremo ricontraccambiare, in un circolo vizioso che, sino a quando non si troverà il coraggio di spezzare, produrrà solo falsi obblighi e false attese e aspettative.

Invece, l’invito del padrone di casa ha origine nel suo amore esorbitante, i primi invitati probabilmente non avevano capito che non è possibile in alcun modo contraccambiare un amore così grande. Sono rimasti chiusi nei loro spazi angusti, hanno pensato che muovere delle scuse “plausibili” li avrebbe liberati dallo sdebitassi con il padrone di casa.

Ma nessuno, nessuna si deve sdebitare con quel padrone di casa, perché il suo invito è gratuito, è un dono nel vero e proprio significato del termine. Il dono non si restituisce, si accoglie nella libertà. Il dono ti rende forte perché quello che hai ricevuto lo puoi estendere, lo puoi a tua volta donare, attenzione non contraccambiare, ad altri e altre in un circolo questa volta virtuoso che reca grazia e solidarietà.  

Un dono così grande poi è spiazzante, ti coglie di sorpresa. Se ne percepisci l’importanza non puoi rifiutato, devi dire subito SI.

Così l’invito del padrone di casa della parabola, è talmente generoso e aperto alla speranza e alla gioia che lo devi avvertire come qualcosa alla quale non puoi per nulla al mondo rinunciare. 

Lo hanno capito benissimo coloro che poi sono entrati nella sua casa. 

“Affinchè la mia casa sia piena”.

Come nessuno, nessuna ha l’esclusiva dell’invito, nessuno, nessuna può e deve essere escluso, esclusa. Questa è la volontà del padrone di casa. 

Prima di concludere, mi pare necessario fare una breve riflessione su gli ultimi versetti del nostro testo.

Va' fuori per le strade e lungo le siepi e costringili a entrare”. 

Su questo versetto sono state costruite tante persecuzioni. Purtroppo anche i padri della chiesa, come Agostino e poi anche Calvino, lo hanno interpretato in senso letterale, cioè tutti devono entrare anche a costo di usare la forza. Sappiamo benissimo però che tale visione non è per nulla evangelica, ma è stata dettata per regolare i rapporti di forza religiosa con gli ebrei, con gli eretici, con chi non condivideva la propria visione. Lo sappiamo benissimo, come chiesa che ha subito la violenza da parte di altre chiese che si definiscono “cristiane”.

C’è da chiedersi sempre, ma l’Evangelo nel Suo complesso cosa ci dice?

Nell’Evangelo di Luca al capitolo 9, versetti da 51 a 56 troviamo scritto: 

51 Poi, mentre si avvicinava il tempo in cui sarebbe stato tolto dal mondo, Gesù si mise risolutamente in cammino per andare a Gerusalemme. 52 Mandò davanti a sé dei messaggeri, i quali, partiti, entrarono in un villaggio dei Samaritani per preparargli un alloggio. 53 Ma quelli non lo ricevettero perché era diretto verso Gerusalemme. 54 Veduto ciò, i suoi discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che un fuoco scenda dal cielo e li consumi?» 55 Ma egli si voltò verso di loro e li sgridò. 56 E se ne andarono in un altro villaggio.”  

E, in Matteo 26, 47-56: “47 Mentre parlava ancora, ecco arrivare Giuda, uno dei dodici, e insieme a lui una gran folla con spade e bastoni, da parte dei capi dei sacerdoti e degli anziani del popolo. 48 Colui che lo tradiva, aveva dato loro un segnale, dicendo: «Quello che bacerò, è lui; prendetelo». 49 E in quell'istante, avvicinatosi a Gesù, gli disse: «Ti saluto, Rabbì!» e lo baciò. 50 Ma Gesù gli disse: «Amico, che cosa sei venuto a fare?» Allora, avvicinatisi, gli misero le mani addosso e lo presero.
51 Ed ecco, uno di quelli che erano con lui, stesa la mano, prese la spada, la sfoderò e, colpito il servo del sommo sacerdote, gli recise l'orecchio. 52 Allora Gesù gli disse: «Riponi la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, periranno di spada. 53 Credi forse che io non potrei pregare il Padre mio che mi manderebbe in questo istante più di dodici legioni d'angeli? 54 Come dunque si adempirebbero le Scritture, secondo le quali bisogna che così avvenga?»

L’Evangelo, la buona notizia che Gesù ci ha lasciato è il puro messaggio dell’amore e della nonviolenza, nessuno può essere costretto con la forza. L’Evangelo si appella alla nostra libertà, quel “costringili” ci invita ad esortare, ad esser d’esempio, a pronunciare il nostro SI, a fare tutto il possibile per non lasciare alcuno o alcuna fuori dal banchetto del regno, ma non ci autorizza all’uso della violenza o della forza.

Poi, il giudizio finale su chi è stato invitato e si è giustificato per non andare al banchetto è molto duro:

Perché io vi dico che nessuno di quegli uomini che erano stati invitati, assaggerà la mia cena”.

Di fronte a queste parole, non possiamo fare altro che affidarci alla misericordia del padrone di casa, e nel frattempo chiederci: quali scuse ci restano per rifiutare l’invito al banchetto?

Amen

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