Galati 3,26-29
Care sorelle, cari fratelli,
se il discorso della montagna (Matteo 5:3-12) o della pianura (Luca 6,20-38), che ci narrano le parole sulle beatitudini di Gesù e che, a buon ragione, sono considerate la carta d’identità del cristiano, questo breve passo è il capolavoro di Paolo.
E’ una sintesi mirabile di tutta la sua predicazione. Potremmo lasciarlo anche senza alcun commento tanto dovrebbe essere chiaro il suo significato.
E’ un testo rivoluzionario.
Peraltro, sono concetti che ritroviamo anche nell’epistola ai Romani che abbiamo appena ascoltato al capitolo 10, versetti da 9 al 13:
“9 perché, se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore e avrai creduto con il cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvato; 10 infatti con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa confessione per essere salvati. 11 Difatti la Scrittura dice:
«Chiunque crede in lui, non sarà deluso».
12 Poiché non c'è distinzione tra Giudeo e Greco, essendo egli lo stesso Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. 13 Infatti chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvato.”
Paolo che non ha vissuto il periodo della vicenda umana di Gesù, che non è stato testimone diretto delle Sue parole. Lui che ha “incontrato" il Signore sulla strada tra Gerusalemme e Damasco, mentre addirittura si recava a punire i seguaci di Gesù, ora fa di Gesù il centro della sua vita e invita anche noi fare altrettanto.
Se non è una rivoluzione questa, quale altra può esserlo?
E’ un inno all’uguaglianza del genere umano. Paolo lo scrive con la passione che gli deriva per il suo amore verso Gesù, ma anche con grande slancio teologico.
Il cuore delle affermazioni di Paolo è evidente, è il rivestimento di Cristo.
Rivestirsi di Cristo significa cambiare non solo il proprio angolo visuale, ma anche la propria postura. Vuol dire accarezzare l’idea di un mondo dove non esistono più divisioni, dove le antiche separazioni non si scorgono più.
Cristo è l’uomo nuovo e se noi ci rivestiamo di Lui anche noi assumiamo una dimensione nuova perché “voi tutti siete uno in Cristo Gesù”.
E qui che troviamo la chiave e le tracce per la nostra conversione.
L’uomo vecchio non c’è più, sorge un uomo che prima non conoscevamo, un uomo non più preso e oppresso dal proprio ego ma disponibile (con un termine di natura psicoterapica) a disidentificarsi, che non vuol dire annullare la propria identità ma ad assumerla in un contesto di relazioni in cui ognuna e ognuno di noi può finalmente, non solo volgere lo sguardo in piena libertà verso l’altra e l’altro, ma assumere l’altrui sguardo come parte di se stesso, di se stessa.
La dimensione di questa unità non è tuttavia piatta e uniforme, ma è in grado di coinvolgerci in un più grande respiro, in una più grande varietà e molteplicità, è un caleidoscopio di colori, di sensazioni costantemente mutevoli.
E’ un vortice di bellezza.
Il fatto che noi non siamo più al centro del mondo, il prendere atto che il resto dell’umanità, pur nell’uguaglianza, non è come noi, come ognuno e ognuna di noi, che gli altri e le altre non pendono dalle nostre labbra e dalla nostra visione della vita, ma mantengono la loro dimensione unica e irripetibile non ci deve confondere, né tanto meno turbare, perché Gesù nella Sua peregrinazione sulle strade di Israele ha disegnato davvero una nuova umanità.
E ci ha detto che questa nuova umanità è possibile.
Un’umanità non più in bianco e nero, ma variopinta.
Un’umanità in cui non ci sono più schiavi e padroni, ma solo di persone libere.
Un’umanità non più chiusa dentro i confini delle etnie e del sangue, ma di persone affratellate.
Un’umanità non più di uomini e di donne, ma di persone il cui genere non crea più separazione ma unità.
Tutto ciò lo possiamo avere a portata di mano, purché?
Purché ci rivestiamo integralmente di Cristo.
Questa è la sostanza del messaggio di Paolo.
Non possiamo però non porci una domanda fondamentale.